Guy Tortora - Anywhere But Here (2023)

di Pierpaolo Tinelli 

Ho sentito per la prima volta questo album in auto, tornando a casa una sera dopo un’intensa giornata di lavoro e devo dire che mi ha subito convinto. Anche al primo ascolto, emerge chiaramente che ci si trova di fronte a un lavoro maturo, frutto dell’esperienza del suo autore, Guy Tortora, che è qui giunto al traguardo del sesto album in una carriera ormai ultraventennale. Anche se quest’ultima si è sviluppata principalmente nel Regno Unito (Guy vive stabilmente a Londra da molto tempo), le radici profondamente americane sono evidenti. Questo californiano di Pasadena ha imparato a suonare la chitarra a undici anni ed è stato sicuramente influenzato dalla pletora di grandi musicisti e autori di quella zona degli USA (credo sia superfluo anche solo cominciare ad elencarli…).

Anywhere But Here (titolo forse non originalissimo, ma evocativo) è una raccolta di canzoni autografe (tranne due cover) che hanno le loro radici, profonde ed autentiche, nel folk, nel blues e nel rock della sua terra natale. L’atmosfera e il sound sono abbastanza omogenei in tutto l’album (e non si tratta di una critica), il quale ha una profondità e un senso dello spazio non indifferenti, che a me ricordano le atmosfere di gruppi come i Giant Sand di Howe Gelb. Ritengo gli arrangiamenti calibrati e molto adatti all’ambiente sonoro dei brani; la strumentazione è ben suonata da tutti i membri della band e non è mai invadente o sopra le righe, sempre in equilibrio con la voce del leader. In particolare mi ha colpito il brano Go Back Home, inizialmente dall’incedere solenne e che poi evolve in un finale maestoso con l’ottimo contributo delle backing vocals dalle forti influenze gospel. In verità, la maggior parte dei brani partono lenti, acquisiscono forza e struttura per poi finire in convincenti assoli, di chitarra o di armonica, o di entrambi come accade in Pearl.

Eccezione che conferma la regola per New Speedway Boogie (Grateful Dead), brano caratterizzato da una ritmica sostenuta dall’inizio alla fine e dall’afflato soul dato dall’organo Hammond di Janos Bajtala. In Under The Boardwalk (The Drifters), uno dei due brani non scritti da Tortora, è presente invece la fisarmonica di Alan Dunn, che dà anche un tocco vagamente cajun al brano. Inoltre, va aggiunto che Guy Tortora è anche un valido chitarrista, elegante e mai eccessivo e che in tutto l’album si diletta con l’acustica, l’elettrica e la slide; apprezzabile anche il suo contributo all’armonica, come, per esempio, nella conclusiva ghost track, che arriva dopo Good Night & Good Luck.

Personalmente non avevo mai incrociato finora questo cantautore nelle mie esplorazioni musicali, ma è un peccato che un così valido autore e strumentista rimanga ai margini della scena musicale e del grande pubblico (intendendo per “grande pubblico” non quello mainstream, ma quello attento alla buona musica, come i frequentatori di Roots Highway).

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