Storia della musica #32
Il post punk inglese dal goth rock al post funk
Con il termine post punk ci si riferisce normalmente a gruppi che portano avanti il discorso musicale cominciato dal punk e lo portano in direzioni musicali nuove, andando tendenzialmente ad identificare l’area inglese del fenomeno new wave: è importante capire che se, fin da subito, in America il del punk-rock era solo uno dei tanti frutti sbocciati dall’ondata del 1975-77, con, accanto ai Ramones artisti come Television e Suicide, in Inghilterra i suoni che emergono nel 1977 sono quelli dei Sex Pistols e dei Clash, cioè del punk in senso stretto: solo così si può spiegare e capire il fenomeno della new wave inglese che ha sempre il punk come suono e punto di partenza e che, nonostante la fusione con la lezione musicale di gruppi storici della tradizione inglese come David Bowie e Roxy Music e le sperimentazioni con generi più esotici, come il dub e il kraut rock, mantiene una sua impronta caratteristica che si fa sentire in tutte le sue infinite e tortuose diramazioni.
Il primo disco a poter essere definito post punk è “Pink Flag” dei Wire, del 1977, un disco che introduce nel punk-rock una complessità, un’ironia, ma anche una vena pop fino ad allora sconosciute al fenomeno, rivelandosi influenza imprescindibile per tutta la musica la new wave inglese a venire, arrivando poi ad introdurre i sintetizzatori, apparentemente antitetici al suono del punk inglese, in “Chairs Missing” del 1978 e nel capolavoro, “154”, del 1979.
Altrettanto influente è l’esordio del 1979 dei Fall, “Live At Witch Trials”: il gruppo di Mark E. Smith vanta fin da subito un suono molto più vario rispetto alla stragrande maggioranza dei gruppi punk, caratterizzato da influenze rockabilly e garage, da continui stop and go, quasi una manifestazione inconscia dell’oscillazione tra i due generi: destinato ad infiniti cambi di line-up e virate stilistiche il gruppo resterà un punto di riferimento e d’ispirazione per una grande fetta di rock, inglese e non.
Aldilà dei primati cronologici l’evento che segna simbolicamente il passaggio dal punk al post punk è l’uscita di “Public image”, nel 1978, disco d’esordio dei Public Image Limited (Pil), punk progressivo che si nutre e frulla le forme musicali e i gruppi più oscuri: dub, musica atonale e rumorismo, Lee Perry, Pere Ubu, Captain Beefeheart e Can; un discorso musicale perfezionato e portato avanti nel capolavoro del 1979 “Metal Box”.
La portata enorme di questi dischi risiede in due fattori, uno musicale e uno simbolico: se da una parte, infatti, la musica orrorifica e cupa dei Pil sarà fondamentale per lo sviluppo del futuro movimento goth rock, d’altra parte bisogna tener conto del fatto che i Pil sono il secondo gruppo di Johnny Rotten, ex vocalist dei Sex Pistols, in quel periodo in causa col suo ex manager McLaren. Il fatto che sia proprio l’inventore del suono e dell’immagine del punk inglese del ’77 ad oltrepassare il suono creato un anno prima con i Pistols, è il suggello del passaggio dal punk al dopo-punk.
I dischi di Wire, Fall e Pil, sono importantissimi perché per primi mostrano una via di crescita per il suono del punk di Sex pistols e compagnia, ma rimangono episodi frammentari, non legati da un filo conduttore che non sia il recupero di sonorità aliene (al suono stesso del punk, ma anche aliene rispetto alla tradizione musicale rock fino a quel punto), ma è con il goth rock che si ha il primo fenomeno musicale unitario del dopo punk.
Caratterizzato da atmosfere orrorifiche e da rituali oscuri, da un suono gelido e cavernoso che in figlio dei Pil più oscuri, dei Velvet Underground più lugubri e dei Roxy Music più decadenti il goth rock viene inaugurato nel 1979 dal singolo di debutto dei Bauhaus “Bela Lugosi’s Dead”. Altrettanto seminali per la scena gotica sono i Joy Division di “Unknown Pleasures” (1979) in cui il leader Ian Curtis incombe con voce Morrisionana su scenari raggelanti attraversati da rumori spettrali ed alieni (che richiamano i passi più oscuri della musica progressiva teutonica) e dalla chitarra Sabbathiana di Bernard Sumner; nel successivo “Closer”, del 1980, il suono del gruppo si evolve ulteriormente e si fa più futuristico quando le tastiere e i synth passano in primo piano, prefigurando il suono del synth pop di cui i New Order, reincarnazione successiva del gruppo in seguito al suicidio di Curtis, saranno tra i principali esponenti.
A quel punto però la nascita del fenomeno è già un fatto compiuto: i primi dischi ad uscire sono “The Scream” di Siouxsie & the Banshees (1978), “Three Imaginary Boys” dei Cure (1979), “In The Flat Field” (1980) dei Bauhaus e l’omonimo debutto del 1980 dei Killing joke. Seguono gli esordi dei Virgin Prunes (“If I die, I die”, del 1982) e dei “Sisters of Mercy” (“First and Last and Always”, del 1985). Il fenomeno attecchisce anche oltreoceano: dei primi anni ’80 sono dischi come “A Minute to Pray a Second to Die” dei Flesh Eaters (1981) e “Only Theatre of Pain”, esordio del 1982 dei “Christian Death”.
Sono dischi che rappresentano i momenti più alti di un fenomeno che raggiunge il suo apice di popolarità nella prima metà degli anni ’80, facendosi peraltro contaminare dalle sonorità sintetiche che gli ex-capiscuola avevano contribuito a creare: la tendenza, tipica degli anni ’80, a dare un ritmo dance a tutto ciò che possa essere cantato è evidente in particolare ascoltando i dischi di un gruppo della seconda generazione come i Sisters Of Mercy, in cui il cantato baritonale ormai divenuto luogo comune del genere si muove sull’incidere marziale di una drum machine sommerso da layer sonori di tastiere.
Il 1985 è l’anno in cui il genere arriva al culmine della popolarità e in cui esce “The Head on the Door” dei Cure, disco con cui il gruppo incomincia a contaminare i propri suoni e a virare verso le sonorità più pop verso cui approderà definitivamente di lì a poco: è solo uno dei primi segni di cedimento di una scena e di un suono che lentamente perde la sua centralità, continuando però a prosperare a livello underground e ad esercitare un’influenza, più o meno diretta, su generi diversissimi tra loro come il dream pop di marca 4AD ed il black metal…
Se il goth è il movimento di massa del post punk c’è un altro filone che comincia a serpeggiare nei primi anni ’80 e che si rivelerà altrettanto influente sui posteri: il p-funk, suono che vive tra le due sponde dell’oceano e coinvolge prima di tutto la solita New York, nello specifico la Grande Mela della no wave e dei Contortions di James Chance che con Buy sono tra i primi ad avvicinarsi alle sonorità del funk.
Da loro discendono i Bush Tetras di “Rituals” (1981), formati dall’ex del gruppo Pat Place, autori un ibrido punk-funk spettrale e raggelante: incidono per la seminale 99 Records, label che produce anche Liquid Liquid ed Esg. Questi ultimi fanno da ponte ideale tra dance e funk e tra Stati Uniti e Regno Unito: i loro pezzi sono regolarmente suonati al Paradise Garage di Larry Levan mentre loro si ritrovano più volte ad aprire i concerti di Pil e A Certain Ratio , rispettivamente pionieri e massimi esponenti del suono p-funk anglosassone.
I primi, col già menzionato “Metal Box”, oltre a segnare simbolicamente il passaggio dal punk al post punk e ispirare il suono spettrale del goth-rock, si rivelano pionieristici per l’inserimento di elementi funk (e disco) nella propria musica. Ma vi sono mille altre declinazioni del suono goth: dal suono avanguardista dei Virgin Prunes a quello più hardcore dei Christian Death, sorta di anello di congiunzione tra Black Flag e Bauhaus, fino ad arrivare a questi ultimi, che oltre ad avere dato il la al movimento nel 1978 ne avevano anche esplorato tutte le possibili sfaccettature.
I secondi sono, con “To Each…” (1981), tra i precursori del movimento: come se Ian Curtis invitasse a suonare con lui nelle caverne la backing band di James Brown e i Can; ancora più seminale, un anno e due dischi dopo, “I’d Like to See You Again”, che nell’ambito dell’eterno gioco di specchi tra le due sponde dell’oceano (ma col p-funk si innesca anche un inedito feedback tra il mondo del punk e la scena dei club) adotta un funk minimale e ballabile.
Altra band centrale per lo sviluppo del suono meticcio punk/funk inglese sono i Gang Of Four: all’esordio nel 1979 con “Entertainment!” costituiranno un’influenza fondamentale non solo per i gruppi del revival p-funk di vent’anni dopo ma anche per il postcore più meticcio (Nation Of Ulysses) e per il crossover metal-funk dei Rage Against the Machine.
A loro volta i Gang of Four sono fortemente influenzati dagli americani Talking Heads: il gruppo di David Byrne era stato il primo ad introdurre elementi ritmici funk nella propria musica fin dall’esordio del 1977 “Talking Heads: 77” rivelando allo stesso tempo una tale ricchezza di suoni ed influenze da rendere forzato e riduttivo un inquadramento nel gruppo nel fenomeno p-funk: più appropriato parlare di art rock, che frulla James Brown, Pere Ubu e Fela Kuti, tanto per citarne alcuni; non si può però fare a meno di notare come “Remain in Light”(1980) incarni meglio di ogni altro il suono del non-movimento.
Il funk è solo un ingrediente di una miscela musicale ricchissima anche in “T”, esordio del 1979 del Pop Group, che infonde a profusione anche jazz, classica e dub, a metà strada tra spirito progressivo e urlo primitivista: il gruppo proviene da Bristol, futura patria del trip-hop a inizio anni ’90 e rappresenta uno degli esperimenti più arditi ed ostici di un calderone musicale vastissimo che saprà anche produrre gioielli di accessibilità pop. Lo vedremo tra poco…
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