Song To The Siren - Tim Buckley
di Diego Bertelli
È stato quando è cominciato a cadere un’altra volta tutto a pezzi. Una cosa che succede con regolarità, lasciandomi inquieto, ogni volta con la paura di non tornare più indietro. I secondi sono infiniti. C’è un mostro che ha il mio volto. L’unica cosa che mi calma quando mi vedo così allo specchio è una canzone dedicata a un altro mostro. Un mostro antico e fatale, la sirena. Si intitola Song to the Siren e la canta Tim Buckley. È così ironico pensare che la maggior parte della gente si immagini quell’essere così bello. Per una strana sovrapposizione, anche quando si pensa a Ulisse che si fa legare dai suoi compagni alla nave per udirne il canto, è divenuto comune immaginare le sirene come suadenti figure femminili con la coda di pesce. E invece le sirene nell’antichità sono geni della morte, hanno un volto di donna ma il corpo di un rapace, assomigliano alle arpie. Sarà anche questo peculiare fraintendimento che rende quella canzone la mia guarigione. Quando mi guardo allo specchio provo la stessa sensazione di delusione che vedo nel volto delle persone cui dico chi sono veramente le sirene. Ma ascoltando quella canzone ecco che riabbraccio me stesso, perché Song to the Siren è una canzone d’amore. Così torno a essere chi sono. È uno strano paradosso l’identità. Ciò che dovrebbe essere il tuo appiglio ti lascia invece in balia dell’enigma. C’è quel verso, “I am as puzzled as the oyster”, che è la chiave di tutto. Aprire l’ostrica, guardarla e rimanere senza soluzione – aprire me stesso a me stesso e rimanere così: è questo che fa lo specchio quando meno me lo aspetto. L’ostrica non deve essere toccata e io neppure, dovremmo essere lasciati chiusi dove ci ancoriamo, nel nostro mare, perché la perla che portiamo non sia mai di nessuno, perché solo così sia perla.
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