Murder Capital - Gigi's Recovery (2023)

di Maria Teresa Soldani e Michele Corrado

Quando nel 2019 le due band dublinesi Fontaines D.C. e Murder Capital fecero il loro ingresso sulla scena, rispettivamente con "Dogrel" (Partisan, 2019) e "When I Have Fears" (Human Season, 2019), vennero giustamente salutate come due realtà estremamente promettenti della scena post-punk, nonché di quell'Irlanda che tanto stava dando alla musica alternativa degli ultimi anni. I tre anni successivi non sarebbero però potuti essere più diversi per le due band. Mentre i Fontaines D.C., con ormai tre album all'attivo e un paio di tour trionfali in giro per il mondo, erano sul punto di diventare delle star, i più schivi Murder Capital se ne sono stati praticamente fermi, concentrati sulla ricerca di un nuovo sound per far funzionare qualcosa di differente dalla solita comfort zone dove schizzavano riff, creando così una rinnovata alchimia e un inedito equilibrio tra la tessitura, gli arrangiamenti e la presenza esuberante del loro carismatico frontman. Un comportamento in linea con una band chiaramente più riflessiva e umbratile della media del nuovo post-punk, che ci rimanda a tanti aspetti della fase di passaggio degli Editors tra l'esordio "The Back Room" (Kitchenware, 2005) e il seguito "An End Has a Start" (Kitchenware, 2007).

Altrettanto lirici e tesi tra le frasi, il ritmo del verso e la vertigine del significato di ciascuna parola, i Murder Capital provano a cambiare direzione sedando la foga e le distorsioni dell'esordio verso atmosfere electro-psichedeliche e andamenti obliqui. Già dai primi singoli, rilasciati tutti nel finale del 2022, sono stati ben chiari non solo il parziale cambio di rotta del sound, ma anche una sterzata in termini di mood. Se "When I Have Fears" era pervaso da oscurità e cattivi presagi sul tema della morte, che di quei tempi aveva fatto diverse volte capolino nella vita della band, "Gigi's Recovery" ci anticipa sin dal titolo che questa volta, pur non mancando le ombre, è la guarigione con il suo lume di rinnovamento il centro del discorso, che porta con sé il superamento dell'isolamento. Anche la copertina del disco, con i suoi toni pastello, si contrappone fortemente alla posa statuaria dei due amanti "metafisici" che si stagliavano su quella del suo predecessore.

La guarigione, nuovo inizio per antonomasia, non può che passare per un rinnovamento stilistico. Le scatarrate al vetriolo dei Fall, principale trait d'union della nuova scena post-punk e comunque presenti nel primo disco dei Nostri, sono qui svanite. McGovern e i suoi sono ormai dediti quasi completamente all'introspezione, che si riflette in trame sonore più delicate che in passato, a tratti evanescenti.

Se due dei quattro singoli che hanno anticipato l'album, l'innodica "Return My Head" e la sgolata e solare "Only Good Things", ricordano i ritornelli a presa rapida dei concittadini Fontaines D.C., proprio non si può dire lo stesso del resto del lotto, basato su composizioni ed evoluzioni meno immediate e più raffinate, come "The Stars Will Leave Their Stage".

Il lavoro effettuato sulle chitarre dal duo formato da Damien Tuit e Cathal Roper è sorprendente e conferisce incredibile profondità allo spettro emozionale messo in campo dalle liriche di McGovern fin dall'opener "Existence". In "Crying" le chitarre sembrano come cigolare, lugubremente immerse nella nebbia, trascinando al limite dell'intonazione anche la voce, come nella dark ballad dalle sfumature elettroniche "Belonging", mentre in brani più liberatori come "The Lie Become The Self" e "A Thousand Lives" prima crollano in un lamento strozzato e poi brillano come schegge di vetro sotto i colpi degli assoli. È poi la title tracka focalizzarci di nuovo sul grande lavoro fatto dalla sezione ritmica, nell'episodio più fermamente e lucidamente struggente dell'album, che rappresenta uno dei maggiori frutti della maturità compositiva ma anche emotiva della band:

Ci vuole tempo a entrare in "Gigi's Recovery", bisogna superare tante emozioni come tutte le incertezze di un percorso che si presenta nudo nel suo farsi suono e canzone in modo tutt'altro che imperativo o assertivo, come in "We Had To Disappear", ma tratteggiando una strada inesplorata e personale che recupera anche il rock inglese degli anni 90, come in "The Lie Becomes The Self", brano sospeso tra i Pink Floyd e i Radiohead che sarebbe stato impossibile immaginare all'interno dell'album precedente.

Così abbiamo la percezione che il capolavoro dei Murder Capital debba ancora arrivare, ma che si procede diritti a scandagliare se stessi, fedeli a se stessi, dentro qualsiasi vertigine sonora possa essere generata per trasformare in suono le liriche declamate da McGovern.

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