Ben Bedford - Valley of Stars (2023)
di Domenico Grio
“Valley of Stars è una favola magica, è la fantastica avventura di Hare”, così si aprono le note di presentazione di questo nuovo lavoro, il sesto in studio, di Ben Bedford. I brani non sono stati però elaborati con un’idea unitaria a monte, quanto, piuttosto, come dei bozzetti atti a raccogliere i pensieri estemporanei dell’autore, per lungo tempo volontariamente emarginato nel proprio isolamento artistico (in realtà la decisione di andare a vivere in campagna e staccarsi dal resto del mondo, era nata dalla necessità di curare il suo grave stato ansioso-depressivo). Il fatto che sia venuto fuori una sorta di concept album, è quindi un qualcosa di casuale, frutto certamente dell’inconscia ossessione di Ben per i temi suggeriti dall’osservazione dei paesaggi bucolici in cui si è ritrovato immerso.
Ed è proprio la natura la fonte primaria d’ispirazione di questo musicista dell’Illinois, l’humus nel quale trovano corretta ambientazione le sue narrazioni fiabesche. La musica, in questo viaggio campestre per immagini, dovrebbe solo rappresentare la colonna sonora delle avventure di Hare (la lepre riprodotta in copertina) in viaggio nella Valle delle Stelle ma finisce, a nostro avviso, per assumere un ruolo dominante, tanto che è più facile credere siano le liriche a fare da cornice alle atmosfere oniriche prodotte dalle linee melodiche dei brani. Per dirla in maniera più esplicita, i testi, per quanto elaborati e per quanto nutriti da spunti apertamente autobiografici (“Hare sono io, cerco di dare un senso al mondo meraviglioso e spaventoso per com'è”), non sembrano memorabili e, forse banalmente, si palesano subalterni all’aspetto sonoro.
Del resto gli episodi più interessanti del disco e quelli dove emerge anche una cerca attitudine per la ricerca, sono quelli strumentali, su tutti Stars & Skywheel, bellissima escursione addirittura nella musica contemporanea. Per quanto l’impostazione delle composizioni sia fondamentalmente classica, legata alla tradizione folk USA (Wolves e Murmurations) ed a quella d’oltremanica (In The Court of the Bear, Hare on the Down e Weasel, Pike, Fox & Kite), si colgono sempre degli elementi inusuali ed una ricchezza di dettagli che ne sublimano la forza espressiva. Quel che si coglie, infatti, è esattamente ciò che ci si attende da un album di folk acustico, in massima misura legato agli stilemi codificati dai grandi interpreti del genere ma anche qualcosa in più, di diverso ed emotivamente accattivante. Così se è certamente richiesto saper maneggiare a dovere una Martin, conoscere bene quel linguaggio e saper mantenere vivo il fascino della tradizione e, da questo punto di vista, Ben e soci (Chas Williams, chitarra e dobro e Kari Floyd, chitarra e voce) sono maestri, è bene essere in grado di offrire diverse prospettive e angolazioni del dettato musicale, saper imprimere un’impronta personale ed autentica e, in ultimo, evitare così di ridurre il tutto ad un mero esercizio di stile.
Valley of Stars è un raro esempio di questa fervida commistione e, sotto questo aspetto, è un disco eclettico, riuscitissimo, persino prezioso, quasi un unicum nell’attuale produzione discografica. Per gli amanti di Stefan Grossman, di John Renbourn, di Bert Jansch, di John Fay, del finger style, della canzone d’autore, della musica acustica in generale, insomma per tutti coloro ai quali il vibrare scintillante di una chitarra folk provoca brividi sotto pelle.
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