Mark Erelli - Lay Your Darkness Down (2023)

 di Gianfranco Callieri

Anche in questa occasione, come accaduto in ogni suo album precedente (o almeno in ognuno di quelli che ho ascoltato io), il bostoniano Mark Erelli non resiste alla tentazione di citare Bruce Springsteen, stavolta evocato nei primi versi di You’re Gonna Wanna Remember This: «Non ricordo dove fossimo diretti, ma l’autoradio suonava Rosalita / Io tenevo il tempo sul cruscotto, lei fischiava assieme al sassofono». Malgrado questo particolare, Lay You Darkness Down - autoprodotto grazie una campagna di finanziamento portata avanti tramite la piattaforma Kickstarter - non è un disco «springsteeniano»; non lo è nella forma e nemmeno nello spirito, perché Erelli, in consonanza con tanti colleghi come lui provenienti dal Massachusetts (da Ellis Paul a Catie Curtis), al rock and roll della classe operaia preferisce la continenza espressiva di un folk-rock elegantissimo e contemplativo, misurato nella produzione, prudente negli arrangiamenti, talvolta riconducibile a un immaginario bohémienne dai tratti europei (richiamata dall’architettura della città di Boston).

Qualcosa di insolito, tuttavia, in questo nuovo lavoro c’è: Erelli, colpito due anni fa da retinite pigmentosa e quindi sofferente a causa di seri problemi alla vista, sembra infatti aver reagito alla malattia sfoderando energia e vivacità, caricando il proprio linguaggio folkie di una disinvoltura elettrica capace di elevarlo sopra la media della tappezzeria da caffè, o da diner, della sua città e non solo. Così, se la pedal-steel dell’iniziale Break In The Clouds strizza l’occhio al lirismo melodico del Gene Clark solista e la successiva Fuel For The Fire scontorna le stesse atmosfere con un pizzico di dinamismo in più, già la citata You’re Gonna Wanna Remember This prende in mano il beat secco dei BoDeans per mettere in scena un ritornello dall’epos appassionante e convincente. Splendida è Up Against The Night, che seppur sempre molto controllata nel gesto, recupera persino la dimensione soul un tempo appartenuta all’epopea blue-collar della costa atlantica, e pazienza se si tratta solo di una parentesi prima del ritorno all’ovile (folk) di una You forse affascinante nelle premesse, riguardanti un incedere lento e incapsulato in sembianze autunnali e ambient, anche se in realtà piuttosto legnosa nello svolgimento.

The Man I Am si rifà ai maestri del R&B (e a Sam Cooke nello specifico) senza uscirne con le ossa rotte, benché Erelli non sia certo in possesso di un registro vocale adatto a sostenere esperimenti simili, Sense Of Wonder è il pezzo più dylaniano dell’intero Lay Your Darkness Down e Is It Enough finisce per sembrare uno scarto del Tom Petty di metà ’90, ma il disco si risolleva nel finale, con il folk-rock da manuale di una title-track in cui affiora, delizioso, un pianoforte alla Marc Cohn e con l’elettrizzante folk’n’roll dell’ultima Love Wins In The Long Run, riff ascoltato un’infinità di volte e ciò nonostante inserito in un brano irresistibile dalla prima all’ultima nota.

Premesso doverosamente tutto questo, resta una domanda. Ovvero se un disco simile, non troppo lungo né troppo corto, prodotto in totale autonomia e pertanto un po’ rigido nei suoni (ma è un problema di nota spese, non di ispirazione), pubblicato in lussuoso vinile blu per gli affezionati con maggiore disponibilità economica e in miserando digipak in cartoncino per chi invece acquisterà il Cd, in grado di costruire buone suggestioni e di non annoiare, non manchi comunque di qualche scatto in avanti, di qualche scarto a latere, di qualche guizzo che potrebbe fare la differenza tra un’opera imperdibile e una di routine. Lay Your Darkness Down - se contiamo anche Seven Curses (2020), riuscita collezione di murder-ballads realizzata a quattro mani con Jeffrey Foucault, la decima tappa d’una carriera più lunga, articolata e feconda di quanto si possa immaginare - non è né l’una né l’altra cosa, e se questo suo essere «acefalo» rappresenta per certi versi una virtù, perché la postura sobria e frugale dell’artista suscita immediata simpatia, da un altro punto di vista è anche il più vistoso dei suoi limiti, perché, come spesso accade nei lavori portati a termine ricorrendo al crowdfunding, non c’è in fondo nulla che possa spiazzare i sottoscrittori del finanziamento o incrinare le loro certezze e aspettative.

Mark Erelli non c’entra; lui, al solito, è bravo e sensibile, onesto e preparato come lo conosciamo dai primi ’00 dell’incoraggiante Compass & Companion. È l’epoca nostra a essersi fatta piccola, ripetitiva e, spesso, avvilente, tanto da far pagare la musica in anticipo - esattamente come si farebbe con un magnete da frigorifero ordinato in rete.

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