Ghost Woman - Anne, If (2023)

 di Fabio Cerbone 

Collocato sul confine labile tra una vera e propria rock’n’roll band e un progetto solista mascherato, Ghost Woman è il frutto maturo dell’estro musicale di Evan Uschenko, autore canadese di Three Hills, Alberta che nell’arco di un anno o poco più ha trovato un contratto discografico con l’etichetta inglese Full Time Hobby e si è dedicato alla stesura di due album, l’esordio omonimo del 2022 e il nuovo arrivato Anne, If. Introdotto e chiuso da due brevi bozzetti strumentali, Welcome e So Long, che restituiscono l’idea di un viaggio a bordo del “magic bus” di Uschenko, il disco riassume l’ossessione di quest’ultimo per i suoni più psichedelici e visionari del folk rock di fine anni Sessanta, passati magari al setaccio della successiva stagione californiana del cosiddetto Paisley Underground: insomma, quel mondo incantato di chitarre e riverberi, pillole acide e fervori garagisti che hanno alimentato sotto traccia una lunga tradizione del sottobosco rock sparso da Londra a Los Angeles.

Non di sola nostalgia però è fatta la materia di Anne, If, perché la qualità grezza e analogica dell’incisione, in gran parte frutto del solo Uschenko e del suo registratore a nastro Tascam 388 si sostiene a canzoni estatiche e avvolgenti, che echeggiano i gesti ma non li imitano ciecamente, creando una linea sottile che dai Love e Byrds passa per i True West e i Rain Parade per arrivare ai giorni nostri in tracce quali Broke e 3 Weeks Straight. Caramelle di psichedelia rock e melodia pop, le canzoni di Anne, If attraversano il loro personale deserto con un riguardo per i dettagli che si svela ascolto dopo ascolto, dalla tensione latente della title track all’esplosione jinle jangle di The End of a Gun fino addirittura al tambureggiante passo krautrock di Street Meet, prima che la pedal steel dell’ospite Ryan “Skinny” Dyck' accentui la sonnolenta struttura alternative country di una Lo Extrano che finisce in territori agresti a metà fra gli Spain di Joshua Haden e il maestro dello spleen Neil Young.

Già collaboratore nella band del collega Michael Rault, nella quale si è fatto le ossa condividendo tour insieme a Jacco Gardner e King Gizzard & the Lizard Wizard, Evan Uschenko sembra appartenere a quella razza di lupi solitari e sognatori dai grandi spazi americani, capace di tradurre quelle sensazioni in canzoni che sono paesaggi di indie rock a bassa fedeltà e sincero revival dei colori sixties. Il rapito e letargico avanzare di Arline si accavalla così all’ipnotico e scuro riff di chitarra di Down Again, tra le migliori intuizioni del disco, mentre nel finale la rugosa voce del collaboratore Nick Hay passa in primo piano nell’interpretazione di Tripped, descrizione calzante di un album che “inciampa” con godimento e intelligenza su sonorità appartenute a lontane stagioni mai sopite.

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