Black Cowboys - Bruce Springsteen

 di Daniele Vincenzo Benussi

Non c’è niente da fare: ci sono canzoni che Bruce Springsteen canta con una voce diversa. Una voce tremante, quasi un bisbiglio, una vibrazione, nient’altro che il vestito leggero di una storia nuda e cruda che vuole essere raccontata. Negli album meno famosi di Bruce a un certo punto arriva sempre il momento in cui prende vita quella canzone lì, quella che ti prende il cuore e te lo scioglie a fuoco lento. In “Davils and Dust” il momento arriva col quinto pezzo, Black Cowboys. 

La storia è quella di Rainey Williams, un bimbo afro nato in uno dei quartieri più poveri di New York: Mott Heaven, nel Bronx.

Rainey cresce nell’unico modo in cui si può crescere in quei posti: povero e con una madre che teme per la sua incolumità. Il grigio delle strade prende colore solo quando si interrompe per fare da lenzuolo alle infinite corone di fiori accompagnate da fotografie di giovani volti neri strappati alla vita da una realtà che non fa sconti. Chi ha letto Tra me e il mondodi Ta-Nehisi Coates lo sa: l’unico pensiero che scandisce le giornate di un giovane afro-americano nato nei più malfamati suburbs a stelle e strisce è quello di riportare la pelle a casa, e lì rimanerci il più possibile.

Così Rainey torna da scuola e passa il tempo con la madre, imparando presto a dipendere dalla luce del suo sorriso, che sa accendersi solo quando lui fa ritorno fra le quattro mura domestiche, finalmente sottratto alle minacce della strada. Lì guarda film western e legge libri sui cowboy che lei gli procura. Un padre non c’è, non più. Tocca a Rainey fare l’uomo di casa. Matura in fretta e impara a tenersi lontano dai proiettili che ogni giorno trafficano l’aria di Mott Heaven, per poi la sera ritrovare l’abbraccio caldo della madre.

Sembrano farcela. Poi la solita fragilità umana che arriva a genuflettere i personaggi di Bruce, e li obbliga a scendere dal treno dei giorni senza un vero motivo: la madre di Rainey si perde via, dietro a un uomo di strada di cui s’innamora. È un trafficante, un’anima inquieta che vive la notte e dorme di giorno, e che le risucchia la gioia di vivere, barattandola forse per il senso di protezione che la donna ha sempre bramato.

«E lei si perse in quei giorni
Il sorriso da cui Rainey dipendeva s’ingrigì»

A Rainey non resta che andarsene, accompagnato dalla voce di Bruce sempre più fievole. In una notte qualunque i tormenti lo svegliano. Ruba cinquecento dollari dalla borsetta dell’uomo di strada, nascosta sotto al lavandino in cucina, poi entra nella stanza della madre. Le bacia gli occhi immersi nel sonno e se ne va, incontro a una notte che si avvia al crepuscolo, a farsi deglutire dalla pancia dell’America, in sella a un treno che profuma di addio.

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