Florist - Florist (2022)
di Fabio Ferrara
“Perché la vita ci mostra la vita quando guardiamo il cielo?”, si chiede Emily Sprangue in “Dandelion”, uno dei brani più poetici dell’album omonimo dei Florist. Avevamo lasciato la cantante americana malinconica e affranta in un’opera in cui provava a fare i conti con il dolore della perdita e della separazione. A quel tempo, Sprangue aveva stabilito la sua sede a Los Angeles, lontana migliaia di chilometri dal resto della band, e componeva i brani di un album che rievocava la solitudine anche nel titolo. La ritroviamo riconciliata con l’esistenza e riconnessa con il resto dei Florist con i quali ha trascorso una parte dell’estate in una casa nella valle dell’Hudson dove sono state registrate le 19 tracce che compongono l’ultimo loro scintillante sforzo creativo.
Il brano in stile ambient di apertura, “June 9th Nighttime”, con dei placidi sintetizzatori deformati e un costante frinire di grilli, è un preambolo alla magnifica “Red Bird Pt. 2 (Morning)”, ancorata a una melodia di chitarra acustica e valorizzata dalle liriche estremamente suggestive in cui Sprague riflette sulla sua vita dopo la scomparsa di sua madre. Tematica già ampiamente trattata nel precedente album, ma questa volta elaborata in maniera più serena come anche suggerito dal confronto fra i titoli dei primi due brani che richiamano al giorno dopo la notte.
L’album non perde di tono con le successive canzoni: la sentimentale “Spring In Hour”, con l’impeccabile sassofono di Jonnie Baker, la ballata folk “Organ's Drone”, la cangiante “43”, che inserisce un apprezzabile assolo di chitarra elettrica su una mutevole sezione ritmica jazz. Oltre la metà delle tracce è puramente strumentale.
L’utilizzo dei sintetizzatori è magnifico, specialmente quando si combina con altri strumenti come in “Jonnie On The Porch”, in cui è ancora il sassofono di Baker protagonista. In alcuni casi si tratta di brevi intermezzi che includono suoni dalla natura e campane in lontananza. Tali interludi sono funzionali a introdurre il brano successivo e possono essere meglio apprezzati in un ascolto integrale dell’album.
Le tracce cantate risultano invece immediatamente gradevoli anche a un primo ascolto. Nel video di “Sci-Fi Silence” i membri della band fluttuano nello spazio cosmico accompagnati dallo strimpellio di una chitarra e da una tastiera. Gli immancabili sintetizzatori e un’intermittente batteria fanno da sottofondo alle parole di Emily che ripete ossessivamente “Non sei quello che ho ma quello che amo" ("You're not what I have but what I love"). Per lei e per la sua band, non è più tempo di rivolgere lo sguardo indietro verso i “troppi passati”. Nulla che necessiti di riposo verrà calpestato d’ora innanzi, come promesso in “Feathers” (Careful not to tread on anything needing rest). Non è il tempo che guarisce le ferite ma accettare quel che ci offre la vita. Con questa rinnovata consapevolezza è finalmente chiaro come andare avanti (I found what it means to be moving on/ Coming from the thing I knew as love/ It comes to me like silver in a stream/ A conversation waiting for the wake).
Nell’universo di “Florist” non c’è posto per il rimpianto. Le incursioni elettroniche dei sintetizzatori, gli assoli strumentali, gli elementi vocali non vanno mai a disturbare la confortante serenità che traspare dalla musica dei loro brani. La musica non è mai nostalgica e non ha l’ambizione di guardare al futuro. I frammenti fugaci di emozioni o stati d’animo catturati dai loro brani sembrano fluttuare in uno spazio che non conosce lo scorrere del tempo. Quel che hanno realizzato questi ragazzi non è destinato a invecchiare.
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