Van Morrison - What's it Gonna Take (2022)

 di Giuseppe Loris Ienco

Van Morrison. Togli il nome leggendario, togli i grandi capolavori pubblicati in passato e ti resta l’uomo. Van the Man: un arzillo settantaseienne di Belfast che, nonostante gli innumerevoli impegni tra studio e concerti, riesce sempre a ritagliarsi un po’ di tempo libero da dedicare a una passione tanto particolare quanto ormai diffusa (ahinoi) in tutti i luoghi, in tutti i laghi e in tutto il mondo: lo studio approfondito delle tante (troppe) teorie del complotto che ammorbano le nostre esistenze.

Per carità, ognuno è libero di pensare ciò che vuole. Spiace però sapere che un personaggio così importante per la musica abbia deciso di sprofondare negli anfratti più oscuri della peggiore informazione, abboccando a tutte le fesserie e le fake news che spopolano sulla rete. Falsità che troviamo anche in buona parte dei testi delle quindici tracce contenute nel nuovo “What’s It Gonna Take?”, un disco che si trascina per la bellezza di ottanta minuti tra sproloqui cospirazionisti, rime gonfie di rabbia e una quantità disturbante di pensieri paranoici.

I fantomatici poteri forti non sono poi così invincibili, se consideriamo il fatto che davvero nulla sembra poter tappare la bocca allo “scomodo” Van Morrison. La 43° fatica in studio del cantautore nordirlandese, che si autodefinisce un tipo pericoloso perché consapevole delle tante verità che ci tengono nascoste (“Dangerous”), trabocca di quelle fisime che noi italiani cogliamo nei servizi trasmessi da Byoblu sul digitale terrestre, o nel delirio continuo e terrificante del Mario Giordano di “Fuori dal coro”.

Dietro la costante incazzatura del vecchio Morrison non vi sono ruggiti di coraggio, ma solo fiumi e fiumi di paura e incertezza. Il che è anche comprensibile: gli ultimi due anni delle nostre vite, per più motivi oltre la pandemia, sono stati e continuano a essere francamente terrificanti. Ma i problemi, per essere superati, vanno affrontati;  mentre Van Morrison, da buon complottista qual è, preferisce la versione semplice e bolla tutte le disgrazie che attanagliano il mondo come innocue fesserie montate ad arte da governo e grandi corporazioni.

Non è una colpa avere uno spirito critico, così come di certo non sono mostri insensibili tutti coloro che hanno vissuto con estremo malessere le dolorosissime restrizioni e gli obblighi per il contrasto alla pandemia. Da umile ascoltatore, però, ho provato dispiacere e sconforto nel sentire un professionista del calibro di Morrison lordare, con testi degni dei peggiori siti bufalari, un soft rock di vecchissima scuola e di pregevole fattura – tra l’altro splendidamente arrangiato e suonato, oltreché ricco di riferimenti alle migliori tradizioni R&B, blues, soul, country e jazz.

Ed eccola qui, l’amara verità: “What’s It Gonna Take?”, nonostante la durata sfiancante e una certa stanchezza sul fronte creativo, è un album più che gradevole. Un lavoro tutto sommato dimenticabile ma divertente, frizzantino e piacevole, per quanto inferiore ad altre uscite più o meno recenti dello stesso artista. Un disco che noi italiani con poca dimestichezza con le lingue straniere possiamo “gustarci” senza farci troppe pippe mentali. Perché i testi dei brani saranno pure raccapriccianti ma, per nostra fortuna, sono in inglese.

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