Neil Young & Crazy Horse – Toast (2022)
di Edoardo Siliquini
Meglio tardi che mai, è il caso di dire. Dopo vent’anni e più il “disco perduto” di Neil Young & Crazy Horse viene alla luce. Sarà valsa la pena di aspettare?
Che il rock sia pieno di aneddoti e storie da raccontare è un dato di fatto. Non è la prima volta, tra l’altro, che il buon vecchio Neil Young è riuscito a deliziarci con improvvisi ripensamenti e cambi di direzione. Ne è un esempio Toast, album registrato insieme ai fedelissimi Crazy Horse (Frank Sampedro, Billy Talbot e Ralph Molina) nel 2001 presso i Toast Studios di San Francisco e pubblicato ventuno anni dopo, l’8 luglio 2022, per l’etichetta Reprise.
Una storia semplice, comune a molti artisti, ma che nel corso degli anni ha generato aspettative e curiosità nei fan, alimentate dai numerosi rumors sulla presunta uscita dell’album e da una miriade di dichiarazioni rilasciate proprio dal suo autore.
Tormenti e jam session finite male
Più che una sessione di registrazione in uno studio frequentato in passato da un giovanissimo John Coltrane, per la composizione di Toast, Neil Young & Crazy Horse si sono addentrati in jam session infinite e poco convincenti. In un clima tutt’altro che disteso, caratterizzato da incomprensioni e dai repentini sbalzi d’umore di Young – a causa della fine del suo matrimonio con Pegi – ne è venuto fuori un disco da riporre in un cassetto e rielaborare in futuro.
Sette tracce, di cui solamente tre inedite: Standing in the Light of Love, caratterizzata da un riff fuzztone ruvido e divertente; Timberline, sulla scia della precedente con sonorità tendenti all’hard rock; Gateway of Love, contraddistinta da una ritmica latin al posto del canonico quattro quarti. I restanti quattro brani (Goin’ Home, How Ya Doin’?, Boom Boom Boom e Quit), invece, sono stati ripresi da Young nell’album pubblicato nel 2022 Are You Passionate?, rivisti in chiave soul e black insieme ai Booker T. & the M.G.’s.
Goin’ Home e How Ya Doin’? ricordano il registro sonoro di Tom Waits e si presentano crepuscolari e taglienti. Boom Boom Boom è il brano più sperimentale del disco con i suoi tredici minuti di improvvisazione jazz.
Quit è la canzone più interessante e riuscita di Toast, poiché presenta un overdrive di chitarra in contrasto con la sezione ritmica, rilassata e completamente appoggiata sulla melodia. Le sonorità evocano perfettamente l’atmosfera di solitudine che emerge dal testo dove Young tenta invano di convincere il partner a non abbandonarlo, ricevendo in cambio una risposta lapidaria: “Don’t say you love me”.
Un disco che merita di essere scoperto per la sua sincerità compositiva
Un disco “desolante, molto triste e senza risposte” a detta di Neil Young e che necessariamente doveva essere archiviato e rielaborato, non tanto dal punto di vista artistico, bensì personale. Nonostante il rifiuto da parte dell’artista, le versioni dei brani presenti in Toast hanno sonorità più crude, esplorative e distintive rispetto alle fortunate rivisitazioni di “Are You Passionate?”.
Un’aurea di discontinuità e precarietà pervade la voce di Young in un unico filo conduttore: il momento in cui si ha consapevolezza della fine di una relazione, spesso precedente alla rottura e alla conseguente caduta libera.
Con maggiore lucidità e con quel pizzico di distacco capace di rendere nitido qualsiasi disordine emotivo, Toast è un disco che merita di essere scoperto – piuttosto che nascosto – per la sua sincerità compositiva. Un ulteriore tassello, che pur non aggiungendo molto nella longeva carriera di Young, ci accoglie in uno dei periodi più irrisolti e di maggiore fragilità di uno degli migliori artisti che il mondo abbia mai conosciuto.
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