The Dream Syndicate - Ultraviolet Battle Hymns and True Confessions (2022)

di Maria Teresa Soldani

La seconda vita dei Dream Syndicate, dopo la reunion del 2012 post-Paisley Underground, ci riserva sempre soprese. La prima, in questo ulteriore capitolo, è il passaggio di testimone dalla psichedelia "a briglia sciolta" del precedente "The Universe Inside" (ANTI-, 2020) al cantautorato più popolare, perfettamente rappresentato dalla proemiale "Where I'll Stand", addomesticando in qualche modo anche i bagliori, così come le asperità, presenti invece nei primi due dischi di questa seconda fase della carriera della band, "How Did I Find Myself Here?" (ANTI-, 2017) e "These Times" (ANTI- e Epitaph, 2019).

Si ha anche l'impressione che Steve Wynn e soci abbiano trovato una quadra oltre le loro influenze più familiari - come Velvet Underground, Byrds e Neu! - e abbiano rinfrescato il loro sound guardando a una generazione più giovane, tra Sonic Boom e War On Drugs.

Oltre le roboanti rincorse kraut-psichedeliche del precedente, eccellente lavoro, con "Ultraviolet Battle Hymns And True Confessions" la band californiana cerca di ritrovare una forma-canzone più canonica attraverso brani più quieti, rotondi e melodici ("Damian") guardando al canone del songwriting folk-rock moderno di Bob Dylan ("Lesson Numer One") e Leonard Cohen ("My Lazy Mind"), così come a quello indie pop-rock dei Rem ("Trying To Get Over").

Nella scaletta si oscilla, con una generale omogeneità, tra brani pop-rock riflessivi ("The Chronicles Of You") e ballate folk agrodolci ("Hard To Say Goodbye"), dove spiccano l'alchimia tra psichedelia, rock e pop di stampo californiano di "Everytime You Come Around" e la conclusiva cavalcata strumentale lisergica di "Straight Lines".

Una prova godibile ma abbastanza monocorde, con pochi guizzi presenti soprattutto negli arrangiamenti ("Beyond Control"). Un album probabilmente destinato a portare i Dream Syndicate altrove. 

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