Andrew Bird – Inside Problems (2022)

 

di Giovanni Davoli

“My Finest Work Yet” (2019) si presentava ambizioso fin dal titolo, ma centrava probabilmente l’obiettivo dichiarato. Nei successivi tre anni Andrew Bird non è rimasto con le mani in mano, producendo un album natalizio prima e un lavoro con Jimbo Mathus poi. In entrambi i casi non sembrava aver eguagliato il suo “migliore lavoro finora” ma glielo avevamo perdonato, attendendolo a una nuova prova solista di tracce originali.

“Inside Problems” è altrettanto esplicito fin dal titolo: dopo aver trattato problemi comunitari nel 2019, l’opera è ora rivolta a quelli personali dell’artista. In particolare, ai suoi pensieri notturni. Anche in questo disco risalta la cura posta in fase di produzione e d’ingegneria del suono. Il disco suona benissimo e fortemente analogico, grazie alle registrazioni effettuate in presa diretta con la sua band “chitarra, basso e batteria” e al suo violino. Violino che fa la parte del leone in Eight, forse il pezzo più interessante del disco: una melodia prima fischiettata, poi cantata, poi trattata al violino, per andare a terminare in un lungo e bello assolo, virtuoso senza strafare. Su Lone Didion, altro momento alto del disco, è sempre il violino a dare quel qualcosa in più, in questo caso con una funzione più defilata ma comunque decisiva. Bella anche The Night Before Your Birthday, che suona un pò alla Velvet Underground. Probabile che l’esperienza fatta sull’album tributo del 2021, “I’ll be Your Mirror”, abbia lasciato qualcosa attaccato al nostro.

Su “Inside Problems”, Bird si muove confortevolmente nel mondo musicale pienamente riconoscibile come quello, unico, da lui disegnato negli anni, mentre cerca meritevolmente qualche nuova soluzione. Ma il disco risulta meno immediatamente digeribile di “My Finest Work Yet” che rimane, appunto, il suo “migliore lavoro finora”: una collezione di tracce che, mentre andavano giù per le orecchie facilmente, rimanevano anche difficili da dimenticare, cominciando da Sisyphus e gli altri singoli. Questa volta, Underlands, Make a Picture e Atomized sono canzoni gradevoli, ma forse meno originali di ciò a cui l’artista americano ci aveva abituati.

Forse, ritirandosi nel suo mondo interno, il nostro non è riuscito a trovare materiale come quello che la preoccupazione sullo stato del mondo gli aveva ispirato qualche anno fa. Oppure, semplicemente, siamo noi che dopo due anni d’introspezione forzata siamo ora alla ricerca di qualcos’altro e ci appassioniamo meno ai “problemi interiori”. I quali, si sa, sono sempre i più complessi da decifrare.

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