The Hanging Stars - Hollow Heart (2022)

 

di Mauro Zambellini

Bastano poche note di ascolto di Hollow Heart per capire quanto la musica West-Coast  pubblicata tra i sessanta e i settanta sia ancora in grado di fare proseliti in giro per il mondo. E non parlo di ascoltatori, che non sarebbero affatto una novità, ma di ragazzi giovani che si mettono a formare band per suonare quelle atmosfere tanto  ammalianti quanto vivaci e colorate. Dopo l’entrata in scena dei vari Jonathan Wilson, Ryley Walker, Israel Nash, Dawes, Allah Las, Beachwood Sparks la cosa potrebbe non destare sorpresa ma se le origini del gruppo in questione ovvero gli Hanging Stars, affondano nei circondari di Londra un motivo di curiosità esiste. Il cantante e chitarrista Richard Olson, il batterista Paulie Cobra ed il bassista Sam Ferman, il chitarrista e tastierista Patrick Ralla e Joe Harvey-Whyte con la pedal steel sembrano aver fatto indigestione di Byrds, Buffalo Springfield, Flying Burrito Bros., America e di tutta quella briosa materia pseudo psichedelica che aleggiava sulla Baia di San Francisco e avvolgeva il Laurel Canyon. Una dieta curiosa per chi è abituato alla pioggia e alle nebbie inglesi e proprio per tale motivo nella solarità di quella musica, nelle atmosfere oniriche, nel jingle jangle e nei lamenti della lap steel, nelle dolci armonie, ha trovato l’ antidoto per sfuggire al grigiore portandosi appresso anche un po’ di folk britannico. Gli Hanging Stars hanno così scelto la loro via, per nulla revivalista visto che i testi delle canzoni sono impiantati nel presente e i suoni posseggono sufficiente freschezza da apparire contemporanei.

Tre album, Over The Silvery Lake del 2016, Songs For Somewhere Else dell’anno seguente e A New Kind of Sky del 2020 sono bastati a far conoscere la loro ricetta più americana che inglese, presentata anche con una generosa dose di concerti da entrambe le parti dell’Atlantico tanto da sedurre artisti della West-Coast quali GospelbeacH e Miranda Lee Richards con cui i cinque hanno stabilito un solido rapporto di collaborazione. Per il quarto album gli Hanging Stars hanno optato per una remota località sulla costa nord-orientale della Scozia, Helmsdale, posizionata alla stessa latitudine di Gotenborg in Svezia e col respiro di quell’aria scandinava si sono messi a lavorare col produttore Sean Read ( Dexys, Soulsavers) nello studio di Edwyn Collins, ex leader degli Orange Juice, una volta che gli spettacoli dal vivo erano stati sospesi per la pandemia. La scelta di tale studio con l’attrezzatura su misura di Edwyn Collins  ha permesso un nuovo tipo di esperienza, e con Sean Read al timone, la band ha mantenuto una concentrazione e una disciplina che ha permesso loro di realizzare ciò a cui aspiravano. La contagiosa atmosfera bucolica del luogo, lo studio era posizionato davanti alle scogliere, ha contribuito all’ispirazione generale donando a Hollow Heart  un fascino tipicamente nordico, sognante, malinconico a tratti ma anche mosso come può esserlo una mareggiata da quelle parti, e coi cromatismi ora intensi ora tenui della bellissima costa settentrionale scozzese . Tale atmosfera si è tradotta in dieci canzoni armoniose con impasti di chitarre alla Byrds ed evocative pedal steel, un arioso country-rock venato di psichedelia e folk. Musica per orizzonti di mare, di costa e di cielo, ondeggiante come una barca trasportata dalle onde, ballate in balia del vento, fluttuanti e avvolgenti, un sentore di tranquillità paziente, dall’effetto quasi ipnotico. Si parte con Ava ed è un introduzione tra acustico ed elettrico con la voce di Olson che trascina gli altri in un’ armonia che concede spazio alle chitarre e ad una sezione ritmica ben equilibrata e presente. Anticipa quello che potrebbe essere uno dei singoli dell’album ovvero Black Light Night, una melodia del tastierista Patrick Ralla con testi di Olson che gira cupo con schegge penetranti di chitarra ammorbidite dalle armonie vocali. Il tempo sembra scivolare silente su una ballata tanto romantica  quanto irresistibile come è Weep & Whisper,  un fuoco morbido dalle tonalità eteree punteggiato da pedal steel e pianoforte, che racconta di " una ragazza che portava i capelli lunghi in un fiocco di raso senza fine" per poi concludersi con un pungiglione finale " stai pensando al futuro, poi il futuro arriva e fottiti, fuori fa freddo”.

Radio On ha un incedere magnetico ed un canto supplichevole (Olson), sembra rivangare  quel pop scozzese che fece proseliti negli anni ottanta grazie a Lloyd Cole&The Commotions e Aztec Camera. Voci che si sovrappongono, una ombrosità melodica che si riflette in armonie vocali studiate sui dischi di Beach Boys e Mama’s and Papa’s e siamo in Ballad of Whatever May Be pur con la sensazione di uno spazio al di fuori del tempo.

Hollow Eyes, Hollow Heart è una canzone sul rifugiarsi in qualcosa che davvero non si dovrebbe e di conseguenza sul sentirsi un guscio vuoto, un aura oscura lo collega ai Fairport Convention ma il cantato è ovattato ed il sound si delinea come  cosmico country rock. You’re So Free si nutre dell’eco leggero e vaporoso delle canzoni dei sixties, vengono in mente i Turtles ma parla di no-vax, Rainbows in Windows di Sam Freman contiene frammenti della voce narrante di Edwyn Collins e si srotola grazie ad un ottimo  fingepicking  su un’onda sulla quale hanno surfato anche i Sadies di New Seasons.  I Don’t Want To Feel So Bad Anymore sembra proprio una canzone dei Byrds con un apertura in stile Roger McGuinn, la conclusiva  Red Autumn Leaf  svolazza deliziosamente traballante in un candido e disordinato lo-fi e con il suo outro si ricollega all'intro della prima canzone dell'album chiudendo così il cerchio .

Caldo pur essendo baciato da un’aria nordica, Hollow Heart   è un disco che unisce antico e nuovo, freschezza e sentimento, visionario ma pronto a soddisfare le esigenze di un gusto moderno.

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