Madrugada - Chimes At Midnight (2022)

 di Valentina Natale

Sembrava finita dopo la morte del chitarrista Robert Burås la storia dei Madrugada, quartetto norvegese che da metà anni novanta in poi aveva ottenuto una sorprendente notorietà grazie ad album di ottima fattura e grande intensità come “Industrial Silence”, “The Nightly Disease”, “Grit” e “The Deep End” che sapevano unire melodia e chitarre aggressive, con uno sguardo alla scena alternative americana e uno ai tramonti nordici. Una parabola tristemente interrotta dopo la pubblicazione dell’ultimo lavoro (“Madrugada” del 2008) che aveva il sapore di un giusto, malinconico saluto.

Quattordici anni dopo, fatte le prove generali con il tour celebrativo dei vent’anni di “Industrial Silence” nel 2019, i Madrugada tornano con dodici brani registrati tra Los Angeles, Oslo e Berlino che hanno reso più forte l’affiatamento tra Sivert Høyem, Frode Jacobsen, Jon Lauvland Pettersen, i chitarristi Cato Thomassen, Christer Knutsen e il produttore Kevin Ratterman (My Morning Jacket, The Flaming Lips, Ray LaMontagne). L’hanno definito un album passionale e di cuore ce n’è tanto nei cinquantotto corposi minuti di “Chimes At Midnight”.

Guidati dalla voce suadente e vellutata di Høyem i nuovi Madrugada si esibiscono in splendide ballate dal passo felpato ma non certo prive di tensione (“Nobody Loves You Like I Do” e “Running From The Love Of Your Life” giusto per citarne due ma anche “Help Yourself To Me” non scherza) con ritornelli in crescendo e un’attitudine cantautoriale non certo spiacevole che rende prezioso il fraseggio di “Imagination”. Sono sempre stati “una punk band che suonava il blues” (Høyem dixit) influenze mai così evidenti come in “Stabat Mater”, “Call My Name” o “Empire Blues”. Romantici, tenebrosi, melodici non hanno paura di scivolare nella malinconia di “Dreams At Midnight” o nel rock orchestrale con “You Promised To Wait For Me” e di chiudere i giochi con la sincerità di “Ecstasy”.

“Qualsiasi cosa toccassimo suonava molto Madrugada” ha detto ridendo sempre Høyem e in effetti non si avverte differenza tra il nuovo materiale scritto appositamente per quest’album e brani inediti recuperati dal passato, come “Slowly Turns The Wheel” con la chitarra di Burås e il falsetto o “The World Could Be Falling Down” che risalgono al primo e terzo disco. “Chimes At Midnight” è un ritorno confortante, dagli arrangiamenti sopraffini, pieno di vita e di sogni. Lasciate stare l’orologio dell’apocalisse, i rintocchi di mezzanotte non sono mai stati così dolci.

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