Dean Owens – Sinner’s Shrine (2022)

 di Silvano Brambilla

Eccoci ad un altro bell’esempio di come una forma d’arte come la musica non ha confini, dove l’essere umano non ha posto restrizioni che, vergognosamente, ha messo invece per i suoi simili, con muri, recinzioni, assillanti controlli, respingimenti (scusate per la digressione).
La musica dunque, ha sempre viaggiato fra i popoli, in forma orale, segnata su un semplice foglio di carta, o su spartiti, arricchendo la cultura e generando nella storia seminali testimonianze sonore. Qui ci troviamo di fronte ad un musicista, Dean Owens, autore, cantante con chitarra acustica, nato e cresciuto in Scozia, una terra di selvagge zone montuose, valli, laghi, castelli, scogliere a picco sul freddo mare del nord e desolati paesaggi, che è rimasto sedotto da luoghi completamente all’opposto delle sue zone d’origine.
Quei luoghi dalla calura persistente, sono l’Arizona e il New Mexico, dove dalle città di Tucson e Santa Fe, alle aride pianure desertiche, e alle lunghe strisce di asfalto tracciate verso sconfinati panorami, si viene coinvolti in variegate atmosfere musicali: folk, country, suoni mariachi, sfumature jazz, sfaccettature elettriche, gradazioni noir, che sono molto esplicite nell’illustrare una sorta di desert sound, combinato in questo disco con ritratti, veri o presunti, di santi e peccatori, di vagabondi e fantasmi, di amori e lussuria. Dean Owens non è un esordiente, ha un ricco vissuto artistico alle spalle, in gruppi e da solista, in Gran Bretagna, come negli Stati Uniti, dischi e concerti in giro per il mondo, apprezzamenti ovunque e collaborazioni, una delle più recenti è per il, Johnny Cash Hertage Festival.
L’anno scorso ha pubblicato una trilogia in formato EP dal titolo già evocativo, Desert Trilogy, preludio a questo nuovo disco, registrato a Tucson con la collaborazione di chi, se non i migliori esponenti contemporanei di quelle atmosfere desertiche americane, radunati dietro al nome, Calexico, Joey Burns e Joey Convertino, più l’aggiunta di due ospiti, Grant-Lee Phillips e il cantautore guatemalteco Gaby Moreno.
All’inizio del disco, Il musicista scozzese ha messo due tracce dai titoli inequivocabili, Arizona e New Mexico, per poi creare una atmosfera un po’ malinconica e incantata per, Companera, con anche quel tipico suono di tromba e una linea di violini, e trasportare l’ascoltatore in apprezzabili momenti come, La Lomita, un segno distintivo dello stile Calexico, e in una delicata ritmicità che avvolge sia, Land Of The Hummingbird, che, We Need Us. Chiudiamo con due passaggi, il breve inciso strumentale, Here Comes Paul Newman, e The Barbed Wire’s Still Weeping, dove Dan Owens è stato bravo ad evidenziare quanto una componente della realtà stilistica dove si è immerso, è formata da ambientazioni di colonne sonore di film western, quelle dello scomparso maestro Ennio Morricone.

Fonte originale dell'articolo

Commenti

E T I C H E T T E

Mostra di più