Caroline - Caroline (2022)

 di Giampiero Pelusi

Ci sono dischi che è possibile descrivere solo attraverso sensazioni, ed in questa categoria va ad adagiarsi l’omonimo debut dei giovani caroline. Ad inquadrare appieno l’essenza musicale che gli otto ragazzi di Londra – sempre più fervente fucina di talenti – costruiscono, sperimentando tra morbido slowcore e acide dissonanze, non sono sufficienti le esili lyrics che adornano l’ascolto .

“caroline” è un’esperienza sonora articolata, a tratti levigata e avvolgente, subito dopo annegata in momenti nevrotici che diventano sempre più vividi ed ossessivi man mano che l’album cresce di minutaggio: accomodarsi su una sedia in riva al mare, lasciarsi cullare da esso, con occhi e orecchie completamente assorti, ed osservare un temporale in lontananza, che si avvicina mesto, squarciando l’apparente serenità che domina il presente.

“Dark Blue” massaggia le tempie con accordi semplici e cresce lentamente senza deflagrare, bloccandoci tra le braccia di vorticose note di violoncello e schematici colpi di batteria. “Good Morning (red)” addolcisce ancor di più l’atmosfera con le sue smielate melodie, così come la cauta “IWR”, venuta al mondo tra dolci arpeggi e eterei cori che germogliano, si fanno più intricati e flirtano con gli altri strumenti, in un climax dai toni delicati.

Dalla strumentale “Messen #7” l’aria inizia a elettrizzarsi: chitarre più aspre, pizzicate con inquietudine, colpi di batteria talvolta fuori schema, experimental rock che scavalca un più regolare slowcore/indie rock dalla marcate venature folk: questo è ciò che succede in “Engine (Eavesdropping)” ed in “Hurtle”, saltano le tempistiche e i fraseggi vellutati, il temporale è sempre più vicino, “Skydiving Onto The Library Roof” inizia a far intravedere acerbi lampi col suo muoversi felpato e pensieroso.

“Zilch” esplode lame dissonanti nell’aria, siamo pronti a farci sommergere dalla pioggia, prendiamo la sedia per andarcene fino al momento in cui “Natural Death” reindirizza nuovamente lo sguardo al mare: scroscia l’acquazzone, ma si ferma a due passi da noi, inizia a piovere in acqua tra ritmi ripetuti, pelli completamente possedute da ritmi caotici e la voce di Jasper Llewellyn che cerca dimora in tale marasma di suoni.

E ce ne rimaniamo lì, con una sensazione a metà tra stupore e rammarico per un qualcosa che doveva travolgerci, ma che abbiamo disinnescato con lo sguardo. È forse questo ciò che i caroline volevano farci provare, o forse è solo quello che abbiamo captato noi: ciò che abbiamo capito con certezza, invece, è come le emozioni fluiscano corposamente nel loro debut, tessendo maglie sentimentali da interpretare e da assaporare senza fretta. “caroline” è un’opera che merita tanta considerazione, nonostante qualche tonalità acerba assolutamente perdonabile, un’esperienza apparentemente ostica, ma che stimola sensazioni necessarie a descrivere pienamente l’anima che pulsa al suo interno.

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