Binker & Moses - Feeding The Machine (2022)
Quando Binker Golding e Moses Boyd, già alunni dell’organizzazione musicale jazz Tomorrow’s Warriors, hanno posto la prima pietra della loro carriera come duo (2015- “Dem Ones”), il futuro del nu-jazz non era ancora del tutto definito.
Tra gli alfieri del genere si mescolavano musicisti dalle sembianze attigue al post-rock e al progressive, innamorati delle molteplici possibilità offerte da parte della musica jazz di poter scombussolare il pentagramma.
Nel frattempo piccoli geni crescevano e la rivoluzione ben presto bussò alla porta della storia del rock, offrendo uno spazio non più attiguo ma centrale nel panorama della musica contemporanea. Fu subito evidente che l’opulente progetto di “Journey To The Mountain Of Forever” avesse tutte le caratteristiche per diventare manifesto sonoro del nuovo jazz inglese, soprattutto per la centralità dell’improvvisazione: l’album venne inciso direct to tape in soli due giorni.
Sono passati ben sette anni, molte cose sono cambiate, l’esordio solista di Moses Boyd “Dark Matter” ha infatti incassato nel 2020 una nomina al Mercury Prize, un vero e proprio riconoscimento della nuova fase del jazz inglese.
Il ripristino del gemellaggio artistico di Binker e Moses avviene nel segno della completa estemporaneità, con i due musicisti forti di un variegato bagaglio di esperienze. Tutto questo ha luogo nella suggestiva cornice degli studi della Real World e con l’ingresso in scena del contrabbassista Max Luthert, noto per la sua collaborazione con Zara McFarlane (vecchia conoscenza di Binker e Moses), qui alle prese con synth modulari, loop e strumenti elettronici.
Dopo aver delineato alcuni dei canoni della nuova stagione del jazz inglese, con “Feeding The Machine” Binker Golding e Moses Boyd, la reinventano con ardimentose citazioni di musica minimale, ambient ed elettronica.
Senza alcun canovaccio lirico e armonico, le sei composizioni si sviluppano su temi meno lineari e prevedibili delle passate gloriose creazioni del duo, peraltro abilmente sintetizzate in “Active-Multiple-Fetish-Overlord”, il brano più radicato nell’estetica dei precedenti album.
Altrove prevale un senso di mistero che trascina gli strumenti verso enigmatiche onde sonore sotterranee e input ritmici filtrati da languori elettronici, i quali fanno da sfondo agli undici minuti abbondanti della prima traccia, “Asynchronous Intervals”, dove il sax di Binker Golding modella suoni eterei ed avvolgenti, in trepidante attesa della frenetica incursione della batteria, per un’esplosione di furore e poesia che si nutre della natura dissonante e fuori sincrono delle note.
Spesso nei titoli è racchiusa una chiave di lettura, non necessariamente netta, ciò accade in “Accelerometer Overdose”, un brano che tiene fede alle promesse travolgendo con granitici break beat quasi hip-hop il substrato di ronzii, droni e cenni del sax, arginando altresì l’espansione creativa di Moses Boyd, prima di entrare in meandri armonici più rarefatti.
Nel secondo trittico di composizioni, i due musicisti spostano ancor di più l’asse verso l’ignoto. Un’urgenza metafisica si impadronisce della materia musicale, le manipolazioni di Max Luthert diventano epicentro dell’astrazione più aulica dell’intero progetto, delizie elettroniche, glitch e beep duettano con le calde timbriche del sax, gli ampi spazi di “Feed Infinite” pian piano si riempiono di nuovi colori, ma nulla è come prima: l’elettronica ridefinisce i contorni fino alla totale rarefazione degli ultimi scampoli jazz.
E’ evidente che la lezione offerta dal disco di Floating Points e Pharoah Sanders “Promises” non sia stata disattesa da chiunque voglia sperimentare in ambito jazz, ma per Binker e Moses quel passo è solo uno dei tanti incipit di un’opera avveniristica e oltremodo disorientante.
Quando con “After The Machine Settles” il duo ripristina la macchina da guerra, rimettendo in gioco be-bop blues e free jazz , si avverte una consapevolezza nuova, un brio che nutre le caleidoscopiche e vertiginose trame minimal-free che si increspano come mosse da una tempesta.
Sonny Rollins e John Coltrane tornano a ispirare i due musicisti per il finale del più nobile e compiuto dei loro progetti: le note del sax sanno di sabbia, il ritmo diventa granuloso, l’elettronica altera il suono fino a modificarne la natura, il sax sembra ora una cornamusa ora il canto degli uccelli, il lirismo penetrante e ancestrale di “Because Because” fluttua e diventa incandescente, ultimando quella trasformazione della strumentazione acustica in onirico-elettronica e creando sembianze estetiche nelle quali qualcuno ha perfino rintracciato Jon Hassell.
Con Hugh Padgham in regia, Binker Golding e Moses Boyd si abbandonano all’avventurosa contaminazione tecnologica, restando ancorati a un’inventiva elettrizzante, imprevedibile, tipica dell'improvvisazione, senza restare preda dell’autoindulgenza o del caos. “Feeding The Machine” è una raffinata pagina del jazz contemporaneo, un disco in perenne equlibrio tra purezza e contaminazione, che consolida la fama del duo e apre nuove frontiere per la moderna scena jazz.
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