The Delines – The Sea Drift (2022)

 di Giovanni Davoli

Benvenuti nel mondo di Willy Vlautin, musicista e scrittore. Già anima dei Richmond Fontaine, ora dei The Delines, nonché uno dei più importanti scrittori statunitensi contemporanei, autore di romanzi strazianti come “Motel Life”, “The Free”, “Verso Nord”.

Il piccolo Earl sta guidando lungo la costa del Golfo / Seduto su un cuscino così può vedere la strada / Accanto a lui c’è un pacco di dodici birre / Tre pizze surgelate e due accendini come souvenir

Comincia il disco e Vlautin ti porta subito nel pieno dell’azione, in un gioco di richiami discreti e impliciti: due fratelli in fuga con il bottino di una rapina balorda dalle conseguenze indesiderate.

Il fratello del piccolo Earl sta sanguinando sul sedile posteriore / Hanno fatto venti miglia e non riesce a smettere di piangere / Passando le case su palafitte di Holly Beach / L’aria condizionata non funziona e Earl non sopporta la calura della costa del Golfo

Il mondo di Vlautin è quello della nuova emarginazione sociale nordamericana, extra-urbana, bianca, che vive sempre al limite della sussistenza, della legge, dell’alcolismo. Un mondo oggigiorno oggetto di insistente retorica, nel discorso sia artistico che politico, negli USA in Europa.

Lo zio del piccolo Earl si arrabbierà da matti / Ma lavorerà fuori città fino alla fine di giugno / Non dovrebbero usare la sua macchina / O fare qualsiasi cosa che faccia sapere alla gente che se n’è andato

Ma con Vlautin non c’è nessuna retorica: solo una fotografia spietata di un’America sficata che si arrabatta come può, con quel che trova. Personaggi vivi, tragici, reali, che si possono incontrare ad ogni angolo, senza notarli neppure nella loro banalità e verso il quale lo scrittore ci trasmette la sua empatia.

Il piccolo Earl non sa cosa fare / Sta cercando un ospedale anche se suo fratello non vuole / Sta iniziando a farsi prendere dal panico, è troppo spaventato per fermarsi / Non ha mai guidato di notte e continua a perdersi

E qui finisce la canzone, non importa come finirà la vicenda: non è che un’altra delle giornate tragiche di Earl e suo fratello i quali, comunque sia, non sfuggiranno al loro destino marginale. Litlle Earl è la prima delle 11 tracce che formano il terzo disco dei The Delines. La prova più matura del gruppo guidato da Vlautin e graziato dalla voce di una Amy Boone sempre più convincente ed espressiva: mai sopra le righe, contenuta ma, anche lei, empatica nel calarci nelle storie di Vlautin. La band completa il tutto con arrangiamenti caldi e semplici, mai invadenti o troppo pieni, ma di forte senso melodico.

Queste storie “di frontiera” (come si diceva una volta), sono completate da  ballad romantiche come Hold me Slow e Saved at Sea che chiude l’album con un tocco, finalmente, di ottimismo: “Lui mi fa sentire come se la mia vita non fosse stata sprecata / Come se la mia vita non stesse semplicemente scivolando via / Lo sento davvero.” Dimostrando che la scrittura di Vlautin è priva di autocompiacimento. Ci sono poi due brevi strumentali Lynett’s Lament e The Gulf Drift Lament, scritti dal tastierista/fiatista Cory Gray, che integrano perfettamente l’atmosfera evocativa dell’album, come fosse una colonna sonora.

Per questa recensione basterebbe riportare tutti i testi del disco per celebrarne la grandezza e forza evocativa immense rese alla perfezione dalla musica e dai musicisti. Se, musicalmente, la formula è solidamente “Americana” di commistione tra Country, Blues e Jazz, la peculiarità dei Delines risiede nella forza dei testi di Vlautin. La loro arte integra musica e testi con rara maestria: si tratta di una band che per essere apprezzata al meglio richiede qualche conoscenza della lingua inglese, anche perché i testi non si trovano sempre sul web e questo è un crimine artistico a cui servirebbe rimedio. Ma, se si fa lo sforzo, la ricompensa è grande e si viene trasportati lungo “la corrente del mare” (the sea drift) in un mondo che esiste, non solo in America, fatto di piccole disperazioni quotidiane e sempre uguali.

Silenziose tragedie umane che solo i grandi artisti come questi sanno portare alla luce, come fosse un film da Oscar o un romanzo capolavoro, per niente epico, ma molto reale.

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