Spoon - Lucifer On The Sofa (2022)

di Francesca Garattoni

Ci sono le band da caratteri cubitali nei cartelloni dei festival e ci sono le band da seconda linea; ci sono gruppi che fanno tanto rumore per nulla quando escono con un nuovo album, magari privo di sostanza, e ci sono gruppi che senza fanfare fanno il loro sporco lavoro, creando piccoli gioielli astratti dallo spazio-tempo.

Gli Spoon fanno parte della seconda categoria.

Ormai alla soglia dei trent’anni di onorata carriera, la band di veterani dell’indie di Austin, TX, ha dato alle stampe il suo decimo album Lucifer on the Sofa, un disco degno di nota perché riporta nelle nostre orecchie quel sound tipico di Britt Daniel & Co.

Dopo un paio di uscite non particolarmente memorabili – l’ultima, Hot Thoughts del 2017, piacevole ma algida – gli Spoon tornano alle radici, tornano in studio nel loro Texas, ritrovano il loro sound e creano il loro disco più rock ad oggi. Lucifer on the Sofa è un disco che sa di deserto e polvere, di luce dorata e chitarra suonata stravaccati su un divano, è il suono confortevole di qualcosa che conosci e sai che ti fa stare bene ma allo stesso tempo ha un risvolto fresco, un piglio energico e meno cupo dei dischi che ci hanno fatto amare la band a metà degli anni 2000.

Fin dalle prime note di Held, traccia di apertura del disco, anche un sordo riconoscerebbe il timbro Spoon delle chitarre languide e della batteria un po’ laconica; la voce di Britt Daniel poi, un po’ nasale, un po’ rauca, spettinata come lui, entra da lontano, come al solito. Dilatata, un po’ pigra o annoiata, ma comunque una presenza piena, ben armonizzata con la musica a cui si accompagna. Ecco, tipica traccia Spoon, niente di nuovo.

E invece.

E invece qualcosa succede in The Hardest Cut, una spinta, un ritmo un po’ più blues, un’ambizione di voler fare una traccia alla Run Run Run de The Who, portano ad un pezzo che avvolge e coinvolge, che ti fa venire voglia di ballare con l’aspirapolvere mentre fai le pulizie di casa.

Questa energia non è un episodio isolato, ma si propaga come un’onda attraverso le tracce successive rendendole accattivanti, seducenti, intense come i temi trattati in Wild o My Babe. L’album scorre piacevolmente, tra accelerazioni e rallentamenti, tra una tastiera incalzante e una ballata a base di chitarra prima appena accennata, timida, che si va a nascondere dietro alla batteria e per poi tornare in un crescendo splendidamente, pienamente rock.

È da questa pienezza rock, questi suoni forti, corposi, che emerge come una ventata di freschezza Astral Jacket, una traccia che fin dal primo ascolto ti fa fermare, qualsiasi cosa tu stia facendo, perchè vuole la tua completa attenzione e tu non puoi che dargliela.

“In the blink of an eye / You can feel so fine / You can lose all track of time”

In un battito di palpebre, ti puoi sentire così bene. In un battito di palpebre, ti puoi perdere completamente, ed è esattamente così che ci si sente: inermi, si viene inghiottiti in una parentesi di pace e tranquillità, totalmente rapiti da backing vocals eterei, ma quella che sembra eternità in realtà svanisce nel tempo di un battito mancato del cuore.

Sta a Satellite, paradossalmente, riportarci sulla terra con la sua languida dichiarazione d’amore, mentre il congedo avviene con la title track Lucifer on the Sofa, la perfetta conclusione di un disco che ti entra dentro, ben pensato e ben eseguito, e che non sapevi di aver bisogno di ascoltare finchè, con un mezzo atto di fede o di abitudine, non premi play la prima volta.

E se per caso doveste incrociare la vostra strada con quella degli Spoon, che siano headliners ad un festival di quartiere o in un anonimo slot pomeridiano a qualche grande evento, fatevi un piacere: non perdeteveli, perchè vi sapranno dare rock, quel rock che forse avete dimenticato quanto vi manca.

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