Cat Power - Covers (2022)
di Francesco Luongo
A 4 anni dal suo ultimo album in studio, Cat Power opta per un ritorno alle cover.
La stessa scelta che la portò a sfornare i 2 precedenti lavori “The Covers Record” (Matador, 2000) e “Jukebox” (Matador, 2008).
Chan Marshall in questo lavoro sceglie di reinterpretare 12 brani che tagliano trasversalmente varie epoche musicali e generi anche piuttosto lontani tra loro.
Lo fa in maniera personale e varia ma mantenendo sempre una coerenza di stile, una classe riconoscibile.
La prima parte del disco è quella più “moderna”, si apre con una Bad religion di Frank Ocean dai suoni eterei, poi c’è il pop raffinato di Lana del Rey e quello e dei Dead man’s bone.
In mezzo a queste tracce Cat Power reinterpreta anche se stessa ed ecco che la sua “Hate” tratta da “The greatest” diventa “Unhated”, riaccendendo così una luce in fondo a quel tunnel.
Pair Of Brown Eyes dei Pogues è un inno di voci che si mescolano solo all’organo, creando un atmosfera mistica, quasi una preghiera.
Dopo il classico “Against The Wind”di Bob Seger reinterpretato delicatamente, arriva “Endless Sea” di Iggy Pop, un trip.
Drumming e basso non si spostano quasi mai dalla stessa linea e così fanno i bending ripetitivi della chitarra elettrica da quando entra.
Tutt’altro mondo è quello degli arpeggi delicati di “These days”, di Jackson Browne, una ballad country dalle atmosfere dreamy, grazie anche alle molte linee vocali sempre ricche di sfumature.
Il country più puro e alla vecchia maniera arriva poi con “It Wasn’t God Who Made Honky Tonk Angels” di Kitty Wells, dove la voce è molto in primo piano rispetto agli strumenti registrati in stile low-fi.
“I Had A Dream Joe” di Nick Cave è il brano più psichedelico, un viaggio che fa da apripista verso le ultime 2 tracce di natura quasi opposta.
Le 2 canzoni che chiudono il disco sono forse le più intense, “Here Comes A Regular” dei The Replacements e “I’ll Be Seeing You” di Billie Holiday, entrambe ballad portate avanti da un piano malinconico e dalla interpretazione vocale emozionante in ogni nota.
Il disco è autoprodotto a Los Angeles con l’aiuto di Rob Schnapf (Elliott Smith, Steve Gunn, Kurt Vile, M Ward).
Un album che convince sia nell’insieme, un insieme che sembra aiutarla a raccontare e a raccontarsi sotto molte sfaccettature, sia nei brani presi singolarmente, grazie alla sua capacità naturale di dare loro nuova voce e nuova luce.
Del resto siamo di fronte a una delle più importanti cantautrici ed interpreti di questa epoca, quindi la cosa non può stupire troppo.
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