Billy Bragg - The Million Things That Never Happened (2021)

 di Lorenzo Montefreddo

L’immagine scelta come cover di "The Million Things That Never Happened" sembra voler subito mettere in chiaro una cosa: Billy Bragg è sceso definitivamente dai treni degli Stati Uniti per tornare a cantare Londra e il suo paese. E se il London Eye, evanescente sullo sfondo, quasi inghiottito dalla nebbia, rappresenta qualcosa, non è certo l’immagine di una cartolina turistica o l’icona di un’Inghilterra proiettata ad affrontare a testa alta le sfide del nuovo millennio, ma piuttosto la materializzazione del brusco risveglio da un sogno sgretolato da una realtà amara tra Brexit e pandemia.

Dopo il mini-Lp del 2017 “Bridges Not Walls”, dopo aver registrato nel 2016 “Field Recordings From The Great American Railroad” nelle stazioni degli Stati Uniti e aver collaborato con i Wilco per arrangiare gli inediti di Woody Guthrie, il bardo di Barking, cresciuto col mito del combat rock, con la foto dei Clash sul comodino, che negli anni 80 incendiava il Regno Unito con i suoi brani diretti solo chitarra e voce, autentici inni all’amata working class, giunto a 60 anni ha ancora voglia di mettersi in gioco perché, come scrive nella traccia conclusiva dell’ album, le canzoni vanno colte al momento giusto altrimenti rischiano di marcire dentro le tasche del cappotto.

Con questa ultima uscita, un album musicalmente fuori dai trend, l’artista inglese, come di consueto, si mette a nudo mostrando la sua visione dell’attualità, ma anche suoi dubbi e le sue vulnerabilità. Il Billy Bragg “singer, songwriter, activist”, come si definisce sul suo sito, non risparmia le critiche alla classe dirigente, ma, come in ogni sua opera, ha un tema caldo su cui concentra l’attenzione, nel caso di “The Million Things That Never Happened”, la pandemia è al centro della narrazione, con le mancanze descritte nella title track, le sensazioni di solitudine, le depressioni, come pure il ruolo avuto dalla Rete durante il lockdown: utile come strumento di comunicazione e informazione ma anche “eroina per autodidatti”, come viene definita in “Ten Mysterious Photos That Can't Be Explained”.

A livello strettamente musicale, siamo sul classico: tante ballate midtempo con largo uso di moog, mellotron e chitarre dobro, che grazie alla mano delicata di Dave Izumi e Romeo Stodart alla produzione, unita alla voce sempre più educata di Bragg, conferiscono un clima caldo e avvolgente a tutta l’opera. E’ presente qualche rimando al country del recente passato ("Freedom Doesn't Come For Free"), alcune canzoni con il piano a sottolineare i passaggi più sofferti ("Lonesome Ocean", "I Will Be Your Shield"), archi per quelli più struggenti ("The Million Things That Never Happened"), ma figurano anche banjo, violino e coretti da pub ("Freedom Doesn't Come For Free") e rigeneranti momenti acustici per sospensioni bucoliche alla Nick Drake ("Reflections On The Mirth Of Creativity").

Il risultato è il racconto del presente filtrato dallo sguardo intimo e personale di un vecchio amico che con accento sempre meno cockney ci diverte, ci commuove e fa sentire la sua vicinanza. Un album dal taglio classico, per un autore con radici profonde ma ben piantate anche nell’attualità. Senza raggiungere i picchi delle epocali “New England”, “Levi Stubbs’ Tears”, “Waiting For The Great Leap Forwards”, sono tanti i brani di questo album che potrebbero diventare frecce puntate ai cuori dei fan. “I Will Be Your Shield”, la toccante “The Million Things That Never Happened “sulle privazioni che abbiamo dovuto accettare durante la pandemia e la saltellante “Ten Mysterious Photos That Can't Be Explained”, scritta insieme al figlio Jack Valero, possono avanzare di diritto la loro candidatura per diventare dei classici del già ricco repertorio di Billy Bragg e, per fortuna, non sono marcite dentro al cappotto.

Bonus track

In una intervista al Guardian, Billy Bragg, presentando il nuovo album e affrontando il tema della situazione politica inglese, ricorda di aver accompagnato nel 2000 Boris Johnson, allora giornalista, in una visita al festival di Glastonbury. Esilarante ma indicativo il passaggio in cui durante il viaggio in auto l’attuale premier canta “Bankrobber” dei Clash e si rivolge a Billy Bragg affermando che la canzone racchiude una filosofia ("My daddy was a bank robber/ but he never hurt nobody"): quella della legittimazione da parte della sinistra del furto ai capitalisti. Da vedere assolutamente.

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