Big Red Machine - How Long Do You Think It's Gonna Last? (2021)
Lo ha fatto seguitando a collaborare con Dessner in due brani: ‘Birch‘, in cui si occupa delle parti vocali, e ‘Renegade‘, composizione ‘sottratta’ alla propria discografia nella quale è addirittura co-writer. La sua, in realtà, è una presenza piuttosto coerente con il concept musicale, un folk estroso che si associa alternativamente a pop colto e soft-rock, con qualche reminiscenza indietronica retaggio del succitato esordio di un triennio fa. Dal canto suo, Vernon interpreta il ruolo di primo scudiero, occupandosi spesso di dare la celebre personale caratterizzazione a ritornelli e cori, e dividendosi le parti vocali dei brani privi di ospiti con lo stesso Dessner, per la prima volta vero e proprio cantante (in ‘Magnolia‘, ‘Brycie‘ e ‘The Ghost Of Cincinnati‘). Un contributo importante è senza dubbio quello di Anaïs Mitchell, che presta la voce e contribuisce al songwriting in tre brani (‘Latter Days‘, ‘Phoenix‘ e ‘New Auburn‘), mentre si occupano di uno ciascuno Robin Pecknold dei Fleet Foxes, Sharon Van Etten insieme a Lisa Hannigan e Shara Nova, Ben Howard in coppia con Kate Stables alias This Is The Kit, Ariel Engle aka La Force, Ilsey Juber e persino un rapper come Spank Rock, che in questo contesto si identifica come “Naeem” e prende in carico la canzone più boniveriana del lotto, ‘Easy To Sabotage‘.
È in effetti grande merito del chitarrista dei National, principale compositore e produttore di tutte le canzoni, l’essere riuscito a condensare tanti e così eterogenei apporti creativi, rendendo ‘How Long Do You Think It’s Gonna Last?‘ un disco assolutamente coerente e riconoscibile. Un palese passo avanti rispetto al debutto, evidentemente molto più meditato e lavorato (‘Big Red Machine‘, del resto, era dichiaratamente frutto di jam session organizzate su una sorta di piattaforma online per musicisti denominata People), e di conseguenza qualitativamente molto più denso: citiamo l’opener ‘Latter Days‘, la pregevolissima ‘Reese‘, la l’avvolgente ‘Phoenix‘, la howardiana ‘June’s A River‘, il soave closing di ‘New Auburn‘ e le ottime ‘Magnolia‘ e ‘Brycie‘ (quest’ultima dedicata da Aaron al gemello, nonché collega nei National, Bryce), che mostrano come, anche in qualità di vocalist, Dessner se la cavi con assoluta credibilità. La sua propensione alla condivisione, dai tempi di ‘Dark Was The Night‘ al recente ‘I Am Easy To Find‘, è qualcosa che seguita a rivelarsi un’attitudine peculiare quanto preziosa. Ne è una dimostrazione assai efficace un disco come questo, che in tutte le sue 15 canzoni e per oltre un’ora di musica sprizza classe e talento da tutti i pori.
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