Low - Hey What (2021)
di Gianfranco Marmoro
I segnali erano evidenti, caotici, terrificanti, stranianti, le figurazioni sonore di "Double Negative" sembravano fuori fuoco, o forse troppo accentuate, incomprensibili, fino a turbare i sogni anche dei seguaci più fedeli della band slowcore. Qualcuno ha perfino abdicato, pur non riuscendo a negare gli eccitanti e sconvolgenti quesiti posti in essere da un'opera tanto audace quanto estrema.
I Low hanno in verità varcato definitivamente i confini del cosmo, lasciando a noi terrestri un'immagine virtuale, sfocata, una proiezione digitale non codificata, coinvolgendo in questa reinvenzione artistica anche la natura primigenia della band, trasmutandola da slowcore in negative-core.
Con "Double Negative" Alan Sparkhaw e Mimi Parker hanno elevato l'astrazione sonora a livelli mai raggiunti finora, attingendo alla rivoluzione grunge e alla sedizione sonora dei My Bloody Valentine. Forti di un linguaggio armonico senza pari, si sono avvicinati a quel concetto di immortalità che da molto tempo la musica rock contemporanea sembra non possedere.
"HEY WHAT" è il richiamo alla realtà dopo il caos organizzato del precedente, iconico album, ma a molti questo nuovo outing creativo sembrerà meno rivoluzionario. I Low non dissertano più di luci e ombre o di variazioni cromatiche, le sfumature di grigio sono abolite, c'è spazio per superfici vuote tinteggiate con sangue e ghiaccio, o per vapori color corvino e bianco fumo. Lo stridore dei synth, le voci stritolate da architetture sonore ridotte a brandelli, il nichilismo espressivo al limite della sopportazione, ovvero tutta la materia cosmica messa in campo dai Low negli ultimi anni, trova in "HEY WHAT" un naturale estuario, tra sedimentazioni liriche e maree improvvise che allargano il divario tra l'intrinseca quiete del canto a due voci e le manipolazioni tecnologiche che opprimono e graffiano le tremule ma intense esternazioni melodiche dell'album.
Quel concetto del male e della sofferenza che in "Double Negative" era descritto con un disturbante e catastrofico terrorismo sonoro, sembra in parte ammansito dall'intensità emotiva di brani come "Don't Walk Away". Ma lo spazio concesso alle voci di Alan Sparkhaw e Mimi Parker nasconde zone buie e impenetrabili: una lunga storia di lotte contro la depressione che i due musicisti provano a esorcizzare definitivamente nella monolitica e possente "The Price You Pay (It Must Be Wearing Off)", che non solo rinnova la sintesi organica tra chitarre distorte ed elettronica dissonante, ma aggiunge al catalogo della band una delle pagine più intense della loro carriera.
In verità, sono numerosi i capitoli di "HEY WHAT" destinati a marchiare a fuoco l'anno in corso, a partire dall'opener "White Horses", un tripudio di suoni disturbanti e manipolazioni elettroniche che confondono la percezione del suono, ora più organico, ora quasi robotico, in una reinvenzione post-Kraftwerk-iana di un beat elettronico che diventa rumore, suono, stridio, sibilo, quindi corpo pulsante del gemito dell'angosciosa "I Can Wait".
I Low più che indugiare sulla sperimentazione accennano eufonie e cacofonie, con lussuose e malinconiche trame, che pian piano perdono una collocazione fisica naturale ("All Night"), o che esplodono in un fragore armonico e lirico che fa vacillare ancora una volta quell'apparente calma, invocata dal canto e alterata dai suoni ("Days Like These"). Anche le pagine apparentemente incidentali e brevi hanno un ruolo fondamentale, che sia uno sbuffo elettronico ("There's A Comma After Still") o il rigurgito rock/noise della furiosa e sfavillante "More", poco importa: i due musicisti si muovono in spazi brevi con la stessa profondità e sapienza che regalano alle pagine più lunghe ed estenuanti.
Ai due estremi di questa dicotomia espressiva giace da un lato l'algida voragine di suoni distorti di "Disappearing", sull'altra sponda ci sono i quasi otto minuti di "Hey", ennesimo cortocircuito di una band che ha avuto il coraggio di guardare oltre: le continue mutazioni acid-drone-psychedelic che agitano il substrato ambient del brano sono parte di un disegno armonico più ampio, forse il più intenso e potente dell'album.
Come navigatori dello spazio persi nel cosmo, erranti in spazi dove la pioggia non cade dalle nuvole, dove il silenzio è un unico assordante rumore, dove la memoria non si affida più alle emozioni, i Low continuano a inviare segnali a noi terrestri. Sono segnali potenti di una rinascita dell'umanità e dell'arte: se "Double Negative" ha messo in dubbio le nostre certezze, "HEY WHAT" le restituisce in pieno, consegnandoci un autentico punto fermo della musica contemporanea.
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