Bruce Springsteen - Nebraska (1982)
Il disco di oggi è quello che ha aperto di fatto l’idea degli album registrati con pochi mezzi e lasciati alla loro naturale bellezza grezza. Diverrà iconico, anche se l’idea iniziale non era affatto questa. Bruce Springsteen ad inizi degli anni ‘80 ha portato in tour la potenza della sua musica dopo l’uscita del leggendario doppio Lp The River: concerti leggendari per intensità, repertorio e soprattutto durata, che spesso toccava o superava le 4 ore di show, tanto che uno dei più grandi studiosi di musica popolare, Simon Frith, definirà un concerto di Springsteen il paradigma dell’ “oggetto di esaurimento”, cioè che davvero va avanti finchè non c’è più fiato in corpo, o goccia di sudore da far cadere dalla fronte. Eppure Springsteen rifugge da tutto questo, e nel suo caro New Jersey si chiude nello studio costruito nella sua nuova casa e si isola dal resto. Nelle future autobiografie questi mesi vengono descritti quasi al limite della depressione, ma lasciamolo da parte questo particolare. Perchè su quel registratore a quattro piste, basico e un po’ vecchiotto, Springsteen riversa immagini in musica tra le più forti del suo memorabile repertorio. Lontano dalla fabbrica del rock che lui e la fidata banda di amici della E-Street Band metteva in moto sui palchi di mezzo mondo, su quella cassetta master delle registrazioni, che la leggenda vuole rimase per settimane in una tasca di una sua giacca, Springsteen si trasforma in un novello cantore folk, che canta di praterie desolate e delle fratture, evidenti e mai così pulsanti, del mito americano. In realtà, in una settimana infuocata di sessioni, quelle stesse canzoni furono provate con la cura elettrica della E-Street band, ma alla fine, quasi impuntandosi con la sua etichetta, la Columbia, Springsteen decise che quelle canzoni dovessero essere pubblicate così come le aveva pensate, diventando così il primo disco in 10 anni senza la fidata E-Street Band (tuttavia, quelle registrazioni esistono ancora, e sono uno dei Graal dei fan che aspettano ormai da 40 anni che vengano pubblicate). Springsteen sceglie come titolo a queste poesie musicali, in cui non solo canta e suona la chitarra, ma anche l’armonica, il mandolino, l’organo, Nebraska, pubblicandolo nel 1982: dello stato americano del Midwest ha la dimensione sonora che trasmette immensità, grandi spazi dove lo sguardo si perde all’orizzonte, e dove si raccontano storie di disillusione e violenza, faide familiari, delusioni, le botte che la vita riserva a chi ha già poco. La title track, Nebraska, è esempio perfetto: ispirandosi allo stile della scrittrice Flannery O’Connor, con voce quasi da notizia del telegiornale, Springsteen racconta, dal punto di vista del violento, di Charles Starkweather e della sua fidanzata Caril Ann Fugate, autori di 11 omicidi nel 1958 per "I guess there's just a meanness in this world”; Atlantic City è una storia di Mafia, dove le gang rivali si preparano alla faida in una città, Atlantic City, rinata grazie alla “gambling commission” che le permise l’apertura di casino per il gioco d’azzardo; la dolce e magnifica Mansion Of The Hill è un riferimento letterario, alla villa sulla collina de Il Grande Gatsby; Johnny 99 è un’altra storia di violenza, di un meccanico che uccide ubriaco un commesso, per cui viene condannato a 99 anni di prigione; le sue storie sono meravigliosi ritratti di perdenti (Used Cars), di piccole scorribande senza patente di notte (Open All NIght che è l’unica canzone dove c’è la chitarra elettrica) su quelle strade che sono il solo luogo di liberazione, questa davvero un caposaldo della poetica springstiana. State Trooper è lo stesso scura e malinconica, My Father’s House è un’elegia dei tempi andati. Una canzone, Highway Petrolman, racconta la storia di due fratelli Roberts, uno, Joe, sceriffo, l’altro, Frank, reduce dal Vietnam, la cui vita verrà devastata dalla morte della madre e dal suicidio del padre, che scatena la rabbia di Frank che uccide un uomo, ponendo Joe nel bivio tra far rispettare la legge e l’amore per il fratello: la storia della canzone finirà per diventare la trama per il primo fìlm da regista di Sean Penn, The Indian Runner (in italiano Lupo Solitario) con David Morse e un giovane Viggo Mortensen, in cui Springsteen appare come co-autore della sceneggiatura originale. Tutto questo nero, questa brutalità sfuma nella conclusiva Reason To Believe, che dice: Groom stands alone and watches the river rush on, so effortlessly\ Wonderin' where can his baby be\ Still at the end of every hard earned day people find some reason to believe. Springsteen registrerà moltissime altre canzoni durante quelle sessioni solitarie, e alcune diventeranno i pilastri dei suoi lavori futuri, tra cui Born In The U.S.A., Downbound Train e altre ancora. Il disco che tra l’altro sarà l’unico a cui non seguirà un tour, diventerà uno dei suoi più acclamati da critica e pubblico, affascinati dalla delicata violenza, dal grigio più cupo di quei paesaggi, meravigliosamente descritti dalla copertina, uno scatto di David Michael Kennedy. Quando Tony Wilson lo prese alla Columbia, doveva essere il nuovo Dylan; per dieci anni non era stato così, almeno musicalmente, nonostante l’immenso successo. In Nebraska per la prima volta Springsteen diventa un nuovo Dylan, quello politico e dallo sguardo attento sulla desolazione che lo circonda, lasciandoci un disco meraviglioso, da scoprire o riscoprire.
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