Black Keys - Delta Kream (2021)

 di Giovanni Davoli

Per chi non lo sapesse, i The Black Keys cominciarono il loro viaggio nell’industria musicale con due dischi di garage rock, nel 2002 e nel 2003 che, in mezzo a una manciata di canzoni nuove, contenevano alcune covers dei loro artisti di riferimento, Junior Kimbrough e R.L. Burnside. Nel 2006, per rafforzare il messaggio, tirarono fuori un EP completamente dedicato a coverizzare le tracce di Kimbrough: “Chulahoma”.

I succitati sono gli eroi di un sottogenere del Missisippi Blues, chiamato “Hill Country Blues” (HCB), sviluppatosi in una regione a est (sottolineiamo, a est e poi capirete perché) dell’autostrada I55 e della regione del Delta. Il genere aveva cominciato a ricevere riconoscimento e dall’angusta e isolata Hill Country solo negli anni ‘90, quando l’etichetta locale Fat Possum cominciò a pubblicare i dischi di questi artisti allora ormai ultra-sessantenni. L’operazione si diffuse per gli States e non sfuggì, in Ohio, ai futuri membri dei “Black Keys”; Auerbach in particolare racconta che per lui Kimbrough era una ossessione che gli impediva di concentrarsi sull’università finche’ si convinse a lasciare gli studi e fondare la band insieme all’amico Carney.

Il successo mainstream giungerà ai due nel 2010 con “Brothers”, un album di composizioni originali, che utilizza lo stile dell’HCB, ma arricchito. Per saperne di più su “Brothers” e sull’HCB potete andarvi a vedere il nostro Back in Time del 18 marzo. Nel successivo decennio, The Black Keys hanno esplorato altri territori musicali, con una serie di prove che, a nostro giudizio, denotano una graduale perdita d’ispirazione man mano che si allontanavano dalla loro fonte primigenia. A essere malevoli, si può allora pensare che il ritorno all’HCB sia un modo per ritrovarla l’ispirazione o, peggio, per sopperire alla mancanza della stessa.

“Delta Kream” è fatto da 11 cover del genere, di cui ben 5 appartenenti a Kimbrough e 2 a Burnside. Mentre si tratta di un ritorno alle origini e di una chiusura del cerchio, non sfugge la netta differenza con “Chulahoma” e le altre cover dei primi dischi. Persa completamente l’attitudine garage, The Black Keys non pestano più duro e preferiscono dimostrare di essere diventati dei musicisti quarantenni e raffinati che vogliono solo rendere omaggio ai loro maestri senza esagerare. In questo senso, l’operazione ricorda i Rolling Stones di “Blue and Lonesome”.

Nello sforzo e per essere più credibili, i nostri eroi si fanno accompagnare dall’ex bassista di Kimbrough, Eric Deaton e dall’ex chitarrista di Burnside, Kenny Brown. Alcuni interventi di quest’ultimo alla chitarra steel sono tra i momenti più memorabili del disco. È il caso di Come On and Go with Me, una delle tracce migliori di questa raccolta. O di Crawling Kingsnake, un classico del blues già eseguito da John Lee Hooker e dai Doors, ma giunto ai “Black Keys” sempre tramite Kimbrough. Tuttavia, non aspettatevi acrobazie strumentali, né da Brown, né da Auerbach o da altri dei bravi musicisti coinvolti. La band suona sempre democraticamente coesa senza riflettori per nessuno, per un’opera registrata in sole 10 ore spalmate su due giornate di registrazioni in presa diretta. E le conversazioni tra i musicisti, mantenute spesso alla fine e all’inizio delle tracce, rafforzano la sensazione “live”.

Su “Delta Kream” tutti tengono un basso profilo e sembrano solo voler dire “ecco, questa e’ la musica che amiamo; se ve la siete persi prima, avete un’altra chance”. Se ciò sia un bene o un male, non riusciamo ancora a giudicarlo. Tra qualche mese vedremo se il disco continuerà a essere nei nostri ascolti o se ce ne dimenticheremo, proprio a causa di questa sua “raffinata piattezza”.

Più difficile sarà dimenticarsi della copertina del disco e del dilemma che pone. La vecchia foto che viene qui usata appartiene al famoso fotografo William Eggleston e ritrae un negozietto di panini e bibite chiamato proprio “Delta Kream” e che si trovava nella località di Tunica, nel Delta, appunto. Abbiamo studiato bene la mappa del Missisippi e confermiamo che Tunica è nel Delta, a ovest dell’autostrada I55, non nell’Hill Country, a est dell’I55. Splendida foto, ma non ce la possiamo fare se sta su un disco che, nelle parole di Auerbach, è stato “fatto per celebrare la tradizione dell’Hill Country Blues”, non del Delta Blues, appunto. 4 in geografia ai Black Keys. 7 al disco, anche per il suo benemerito scopo divulgativo di tale grande musica.

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