Brad Mehldau Trio - Brad Mehldau Trio Live (2008)

Rispetto a tutta una serie di musicisti che credevano (e ancora credono) che il jazz sia solo il bop che si suonava nel 1956, Mehldau, insieme a altri grandi moderni come Joshua Redman, Kurt Rosenwinkel o Mark Turner (i primi tre che mi vengono alla mente), ha creduto nelle nuove prospettive del jazz, modernizzando il genere attingendo nello stesso tempo alle sterminate miniere di idee dei giganti del passato. Di formazione pianistica classica, durante gli studi alla The New School di New York ha tra i suoi maestri il grande batterista Jimmy Cobb. Che intuendo le doti di questo ragazzo, lo fa innamorare del jazz. Mehldau inizia così a contaminare il jazz dalle sue basi classiche, con caratteristiche che renderanno il suo stile unico e imitatissimo: l’uso delle due mani per suonare due melodie diverse, i tempi spesso dispari, rari nel jazz, e soprattutto una delicatezza, un’espressività di tocco e di classe che per molti lo fa successore di un altro immenso gigante del jazz, Bill Evans. Inizia a suonare nella band di Cobb, poi va in tour con personaggi come Perico Sambeat e Joshua Redman ad inizio anni ‘90; nel 1993 fonda il suo Trio con il contrabbassista Larry Grenadier e il batterista Jorge Rossy, e il suo debutto discografico da solista è del 1995 , con l’album Introducing Brad Mehldau che lo fa diventare presto conosciutissimo e apprezzatissimo. Sono questi gli anni dei suoi dischi capolavoro solista e dei lavori con il Trio, che diventano entrambi attrazioni formidabili ai Festival jazz: da ricordare per me sono i suoi Elegiac Cycle (1999), Places (2000) e Largo (forse il suo capolavoro, 2002) come solista, e la serie The Art Of Trio, che negli stessi anni pubblica4 dischi con questo titolo tra registrazioni di studio e live. A questo punto Rossy se ne va e viene sostituito da Jeff Ballard alla batteria, Mehldau ha il tempo di suonare per due anni intensissimi con Pat Metheny (per due dischi bellissimi, tra cui ricordo il Metheny\Mehldau del 2005) e per calibrare la sintonia del nuovo trio si regala una settimana di live al Village Vanguard di New York, luogo mitico del jazz della Grande Mela, dall’11 al 15 ottobre del 2006, i cui clou verranno raccolti nel disco di oggi e che esce nel 2008. Il doppio Brad Mehldau Trio Live racchiude il pensiero jazz di Mehldau al suo massimo splendore: opere autografe dove il romanticismo e il lirismo si esprimono al massimo (come ben spiega nei fenomenali piccoli saggi che egli stesso scrive peri libretti dei suoi dischi) che si mischiano alla sua passione di rendere standard canzoni del pop e del rock, con scelte niente affatto scontate (si ricordano le sue versione di Lithium dei Nirvana, la passione per Nick Drake e per le musiche dei Radiohead, con alcune versioni da leggenda di Exit Music (For A FIlm) o Paranoid Android). Il primo disco sfiora la perfezione per le scelte e per le prestazioni musicali: si parte dopo una piccola introduzione di presentazione con Wonderwall degli Oasis, a cui segue l’incandescente Ruby’s Rub di Mehldau, che sfuma poi nella dolcezza di O Que Sera di Chico Buarque de Hollande. Poi altro movimentato brano autografo, B-Flat Waltz , poi uno dei pezzi clou del disco: Black Hole Sun dei Soundgarden è il viatico per una monumentale prova di improvvisazione e di arrangiamenti per 23 minuti di musica perfetta, riconoscibile e deliziosa, con meraviglioso lavoro al contrabbasso di Grenadier, che sfiora la samba, il jazz rock, momenti di pura potenza sonora pianistica. Chiude il primo disco The Very Thought Of You, standard del pop di Ray Noble. Il secondo disco è dominato da tre brani di Mehldau, Buddha Realm, Fit Cat e Secret Beach, poi C.T.A di Jimmy “Little Bird” Heath e a chiudere con altre due cover, More Than You Know, standard dei musical di Broadway e un omaggio a John Coltrane con Countdown (che era presente in quello che è uno degli apici del jazz, Giant Steps del 1960). Qualità espressiva, di registrazione e feeling del Trio rendono questo disco un gioiello, uno dei più lucenti in una collezione di cui Mehldau può essere davvero fiero, degna di uno dei più grandi jazzisti degli ultimi 25 anni.

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