Daniel Lanois – Heavy Sun (2021)

 di Gianluca Dessì

Pochi personaggi possono vantare una carriera di produttore come il settantenne musicista e compositore canadese: U2, Dylan, Peter Gabriel, Neville Brothers, Wille Nelson e, buon ultimo, Neil Young sono solo alcuni dei nomi che a Daniel Lanois si sono affidati per dare un sound alle loro idee (sono parole dello stesso artista). Ma non meno interessante è la sua carriera da musicista: una dozzina di album a suo nome, dagli esordi in cui mescolava americana-music e radici francofone, a una successiva costante ricerca sonora sempre tesa al perseguimento di un originale sound elettro-acustico (che ha l’apice nel magnifico album strumentale “Belladonna”), con la cura maniacale per un suono definito anche nei minuscoli dettagli, al tentativo, sempre riuscito, di abbattere barriere fra i generi musicali, come nella commistione reggae e soul del progetto Black Dub con la bravissima Trixie Whitley, all’ardito e inconsueto mix di improvvisazione e elettronica di “Flesh and Machine”, fino alle colonne sonore e, addirittura, alle musiche per i videogiochi. Il nuovo “Heavy Sun”, a confermare quanto appena affermato, è un intrigante lavoro che mescola Gospel, psychedelia e ambient, con il giusto tocco di elettronica, soprattutto nella parte ritmica. E per mischiare ancora più le carte, Lanois lascia il grosso delle parti vocali (spesso combinate in armonia, caratteristica di molte delle tracce) agli altri componenti della band, in primis a Johnny Shepherd, hammondista e vocalist eccezionale, maestro di coro e organista della Chiesa Battista di Shreveport, vicino a New Orleans, uno dei luoghi dell’anima (il più ricorrente senz’altro) del grande musicista canadese. A completare la band due collaboratori di lunga data di Lanois: il chitarrista Rocco DeLuca e il bassista Jim Wilson. Oltre alle voci i quattro dividono anche i meriti delle composizioni. Con la consueta attenzione per la resa sonora (il disco è da ascoltare con un paio di buone cuffie per meglio apprezzarne spazialità e definizione dei timbri), “Heavy Sun” si dipana in appena 40 minuti di musica, divisi in undici tracce. Sono proprio i tre brani marcatamente gospel, caratterizzati da un hammond sferzante al punto giusto, a definire la cifra dell’album: “Dance On”, “Please Don’t Try” e ”Tumbling Stone”. Mentre “Angels Watching” potrebbe benissimo essere un out-take di “Black Dub”, così come “Tree of Tule” echeggia atmosfere dei migliori dischi dei Neville Brothers e la bella “Mother’s Eyes”, anch’essa guidata dall’organo, paga un tributo alla ritmica in levare tipica del reggae. “Under The Heavy Sun” cita nell’introduzione “St. James Infirmary”, ma porta su strade che coniugano dub, psychedelia e ancora gospel: forse la traccia migliore fra tutte in una già eccellente successione di brani. Infine “Way Down” e “Out of Sight” ci ricordano come Lanois si sia fatto le ossa come fonico registrando quartetti Gospel. “This is my Soul album”; così il suo titolare definisce questo lavoro. Un disco da ascoltare, che dimostra ancora la perizia di Lanois nel rapportarsi a generi musicali sempre diversi e l’abilità nel combinarli fra loro; ma anche di gestire senza pari la materia-suono, caratteristica che ne ha fatto, soprattutto nell’ultima parte del secolo passato, un produttore di grande successo, perché lui, come recita il titolo di una delle sue canzoni più famose, resa ancor più celebre da Willie Nelson, è soprattutto… “The Maker”. 

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