Herbie Hancock, un talento irrequieto

di Gianni Lucini 

Il 12 aprile 1940 nasce a Chicago, nell’Illinois, il pianista e compositore Herbie Hancock. Registrato all’anagrafe con il nome di Herbie Jeffrey Hancock a sette anni incontra per la prima volta un pianoforte. Scocca un amore a prima vista ma la sua relazione con quello strumento non è facilissima. Se da una parte frequenta assiduamente le lezioni e si applica con buoni risultati allo studio della tecnica classica, dall’altra non perde occasione di picchiare con foga sui tasti bianchi e neri seguendo i dischi di George Shearing e Oscar Peterson. Nel 1956, quando ha soltanto sedici anni, dà vita a una big band di diciassette elementi che dirige e della quale cura personalmente gli arrangiamenti. L’esperimento gli procura una certa notorietà ma non gli impedisce di continuare gli studi. Terminato il corso di base decide di specializzarsi in composizione e per mantenersi suona nei piccoli club di Chicago.

La neve, un colpo di fortuna

Come nelle favole il suo debutto sulla scena del grande jazz avviene per un caso molto fortunato. Tutto accade in una sera d’inverno del 1960 quando sostituisce il pianista del gruppo del trombettista Donald Byrd, rimasto bloccato da una nevicata. Herbie è elettrizzato per l’occasione e non si risparmia. Dopo il concerto Byrd gli propone di restare con lui. È l’inizio di una carriera ricca di successi e soddisfazioni. Due anni dopo pubblica per la leggendaria Blue Note il suo primo album Takin’ off e successivamente entra a far parte del gruppo di Miles Davis nel quale diventa quasi un elemento inamovibile. L’avventura con Davis dura per alcuni anni e finisce soltanto nel 1968. Negli anni Settanta la sua tecnica pianistica e le sue capacità d’improvvisazione vengono esaltate dalle nuove sonorità elettroniche create dall’industria musicale. Nel 1973 pubblica per la CBS Head Hunters, un album che, oltre a farlo conoscere da tutto il mondo, resta ancora oggi un disco fondamentale nell’evoluzione di quel genere che viene sommariamente definito come “jazz-funk”. La sua popolarità si allarga a dismisura ma questo fatto finisce per alienargli le simpatia di una parte dell’ambiente jazzistico.

Le accuse non lo scalfiscono

Sempre più spesso, infatti, si ritrova accusato dai puristi del jazz di essere eccessivamente commerciale. Hancock non si cura troppo delle critiche e va per la sua strada. Non rinuncia mai a sorprendere alternando momenti di sperimentazione pura ad altri in cui la sua vena pare indulgere verso sonorità più facili e universali. Negli anni Ottanta con l’album Future shock sembra orientarsi decisamente verso il funk computerizzato, anche grazie alla collaborazione dei Material di Bill Laswell, ma è un’incursione di breve durata. Incapace di resistere al gusto del cambiamento un paio d’anni dopo forma i VSOP II, un gruppo acustico che schiera i fratelli Wynton e Brandford Marsalis ai fiati. Quando il regista Bernard Tavernier gli chiede di realizzare la colonna sonora del film “A mezzanotte circa” chiama a raccolta i migliori jazzisti disponibili. Il risultato è una lunga e fantastica serie di session cui partecipano, oltre ai VSOP., Bobby McFerrin, John McLaughlin, Chet Baker, Billy Higgins e Dexter Gordon che verrà premiata con l’Oscar. Nel nuovo millennio riduce molto l’attività senza tuttavia rinunciare a lasciare qualche segno importante come l’album River: The Joni Letters con il quale nel 2008 vince il Grammy Award.


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