The Asylum Years: la nascita del fenomeno Tom Waits

di Tiberio Snaidero

In quasi cinquant’anni di carriera, Tom Waits si è affermato nel corso di questi ultimi decenni come uno degli artisti più originali e poliedrici della contemporaneità. Cantautore, poeta, attore, cabarettista, autore di spettacoli teatrali e di colonne sonore, il suo percorso di musicista può essere agevolmente suddiviso in tre fasi distinte, ognuna delle quali fa corrispondere un ben riconoscibile mutamento di poetica al cambio della casa discografica, del produttore e dei collaboratori.

Nato nel 1949 a Pomona, nei sobborghi di Los Angeles, negli anni Sessanta Waits sbarca il lunario come uomo delle pulizie, cuoco, lavapiatti, corriere, tassista o benzinaio, riuscendo di tanto in tanto a esibirsi in qualche locale come cantante, soprattutto a partire da quando comincia a lavorare come portiere a The Heritage, un piccolo club dell’area metropolitana di San Diego che ospita concerti folk, blues, jazz e country. Quando arriva il suo turno di presentarsi sul palco, Tom accompagna al pianoforte delle composizioni i cui testi si ispirano alla vita degli emarginati, degli sconfitti dalla vita, di coloro insomma che lo spietato sistema americano etichetta come looser. Lontano dall’estetica pop e disinteressato a prostituire il proprio talento, Waits si rivela subito un autore originale, capace di estrarre dalla limitata estensione della sua voce roca accenti di volta in volta amari e romantici. Si rivela inoltre uno straordinario intrattenitore, abile com’è a condire il suo set con storielle buffe e surreali grazie alle quali entra facilmente in contatto con il pubblico.

Quando, in cerca di una nightlife più eccitante di quella di San Diego, si trasferisce a Los Angeles per esibirsi nei suoi numerosi locali notturni, succede che agli inizi del 1971 sia invitato a presentarsi sul palco di una serata riservata a dilettanti in cerca di gloria, la Hoot Night del Troubadour. Fortuna vuole che tra il pubblico si nasconda il rock manager di Frank Zappa, Fred Neil, Captain Beefheart e Linda Rondstadt: Herb Cohen. Questi coglie immediatamente l’eccezionalità del talento di Waits, ne diventa l’agente e l’anno dopo gli fa firmare un contratto con la Elektra / Asylum. L’esordio sarà lo splendido Closing Time (1973), una raccolta di canzoni che rappresenta perfettamente il Waits dei primi anni Settanta e da cui si sviluppa l’estetica e la poetica che caratterizzeranno tutti i dischi incisi per l’etichetta discografica di David Geffen: The Heart of Saturday Night (1974), Nighthawks at the Diner (1975), Small Change (1976), Foreign Affairs (1977), Blue Valentine (1978) e Heartattack and Vine (1980).

Se Closing Time fu prodotto da Jerry Yester, il maggiore responsabile del suono dei sette album seguenti è stato invece Dayton Burr “Bones” Howe. Quello che Waits, il suo set e la sua musica hanno però in comune nei primi tre o quattro dischi dei cosiddetti Asylum Years è il personaggio creato dall’artista di Pomona: una sorta di vagabondo dei bassifondi, un beatnik, un bohémien. Per perfezionare l’immagine che avrebbe poi per anni portato sulle copertine dei dischi, negli studi televisivi e sui palchi dei club, Tom vive in effetti la vita di un ubriacone à la Bukowski, frequentando regolarmente bettolacce squallide e fumose e dormendo dove capita. Se durante i tour la casa discografica gli riserva una stanza all’Holiday Inn, Waits cancella la prenotazione e si trasferisce in una topaia.

I temi delle canzoni hanno a loro volta a che fare con storie di amori infelici e di sogni infranti, con la solitudine, l’emarginazione e la nostalgia più disperata; ma pure con vicende di amore ricambiato e di sesso esuberante. La musica è un folk-jazz acustico che si arricchisce album dopo album di sonorità blues e rock, di arrangiamenti più sofisticati e di soluzioni meno legate alla struttura tradizionale della ballata, non sempre dunque scelte per valorizzare l’aspetto melodico dei materiali sonori. I concerti vedono Waits, generalmente seduto al pianoforte e accompagnato da un combo che suona strumenti soprattutto acustici, intrattenere il pubblico con storielle buffe apparentemente slegate dal repertorio canoro. Una sorta di Stand-up comedian che sgomitola l’improbabile matassa delle disavventure del personaggio “Tom Waits”, un carattere affinato ulteriormente nelle interviste e nelle apparizioni televisive.

Nonostante la crescente popolarità e gli spettacoli sempre più attenti all’aspetto scenografico, Waits si ritrova alla fine degli anni Settanta con la sensazione di aver completato un ciclo. Si sente imprigionato nel personaggio che ha creato e ha voglia di produrre qualcosa di diverso e di lavorare con nuovi collaboratori senza continuare a fare quello che il pubblico e la critica si aspettano ormai da lui. Nel 1980 accetta dunque immediatamente la proposta di Francis Ford Coppola di comporre le canzoni che faranno parte del film One from the Heart (in italiano: Un sogno lungo un giorno), un lavoro che lo impegna per un anno e mezzo. Durante questo periodo, Tom dapprima trova il tempo per innamorarsi di Kathleen Brennan, da allora moglie e costante collaboratrice artistica, poi anche quello di realizzare in fretta e furia il settimo disco in studio prodotto con “Bones” Howe: Heartattack and Vine. Completati i due progetti, decide di separare la propria strada da quella dell’agente Herb Cohen, di non lavorare più con Howe e pure di cambiare casa discografica.

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