Coldplay - Parachutes (2000)
Negli anni del trionfo del brit pop e della rivalità Oasis - Blur, un gruppo di studenti dell’University College di Londra inizia a suonare insieme. Sono Chris Martin, che canta e suona il piano, Jon Buckland alla chitarra, Will Champion alla batteria, Guy Berryman al basso. In mente i 4 hanno una musica che si discosta molto dal genere imperante: delicatezza, malinconia, una tensione emotiva niente male e le capacità melodiche di Martin, che alterna piano e chitarra acustica, sembrano perfette per il mood degli adolescenti della generazione che si apprestava al cambio di Millennio. Il nome del gruppo Martin lo prese in prestito da Tim Rice-Oxley, pianista e che in seguito fonderà i Keane: Coldplay. Il primo lavoro è un ep stampato in appena 500 copie, The Safety Ep, che incuriosisce la Fierce Panda, piccola etichetta indipendente che produce anche il successivo Brothers And Sisters. Il riscontro è ottimo, e la band ha una bella presenza nei live. Le ballate melodiche e malinconiche del gruppo non passano inosservate e la Parlophone, l’etichetta dei Beatles, scommette su di loro: con The Blue Room, ennesimo ep, inizia a crescere anche il muro sonoro di chitarre e sentori epici alla Radiohead e U2 (le band preferite di Martin) che diventerà una delle chiavi del loro successo. L’anno di svolta è il 2000: un tour che li porta a suonare, con grande successo, anche al leggendario Festival di Glastonbury è l’apripista per l’album di oggi, il loro primo lp. Parachutes esce nel luglio del 2000, autoprodotto dal gruppo (con grande prova di maturità musicale); è preceduto dal singolo Shriver, uno dei pezzi migliori del catalogo. Martin canta con passione e riesce a trasmettere un misto di gioia e tristezza. I brani sono legati da una coerenza stilistica e musicale e diventano tutti piccoli classici: l’atmosfera di Spies, Don’t Panic, l’avvolgente High Speed. Ma due canzoni li fanno diventar famosi: Yellow, anche per via del video musicale (Martin che cammina stralunato in un k-way tutto bagnato su una spiaggia nebbiosa dopo la pioggia) è una delle prime grandi canzoni del decennio, e diviene messaggio universale di compassione e affetto: non si sa se il giallo sia il colore delle stelle da far vedere ad un’amata (Look at the stars\ Look how they shine for you\ And everything you do\ Yeah they wer all yellow) oppure più drammaticamente il colore della pelle di chi soffre una grave malattia (Your skin\ Oh yeah your skin and bones\ Turn into something beautiful\ And you know\ For you I’d bleed myself dry\For you I’d bleed myself dry) ma resta il fatto che la canzone li proietta in una dimensione nuova. E lo stesso fa la dolente, ma bellissima, Troubles, altra hit che diventerà uno dei momenti clou dei loro show. L’album arriva in vetta alle classifiche di mezzo mondo, e l’anno successivo guadagna un Grammy per il miglior album di Alternative Rock. È il trampolino di lancio per Martin e soci, che diventano il next big thing della musica britannica, anche perchè il secondo, temutissimo, album, A Rush Of Blood To The Head (2002), trascinato da canzoni “killer” come The Scientist, In My Place e God Put A Smile Upon My Face li confermano eroi generazionali, intraprendendo la strada, difficile ma impagabile, dello stardom internazionale: che si traduce in stadi pieni, fama globale, il divenire icona anche di gossip (Martin sposerà la famosa attrice Gwyneth Paltrow) e essere semi divinità terrestri.
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