Chicago - Chicago (Silver) (1970)

I Chicago sono stati la band americana che negli anni ‘70 ha venduto più dischi, ha avuto più singoli in classifica e dischi entrati nelle top ten delle classifiche, raggiungendo per tutto il decennio il disco d’oro e di platino. La loro carriera è quasi cinquantennale e, soprattutto agli esordi, erano una formidabile macchina sonora. Il primo nucleo della futura band si forma alla DePaul University, la più grande università cattolica non solo di Chicago ma degli interi Stati Uniti. Tre ragazzi, Walter Parazeider, Lee Loughnane e James Pankow iniziano a suonare cover di bravi soul e r’n’b. A loro si aggiungono poco dopo Terry Kath e James William Guercio, un musicista che aveva avuto già esperienze musicali con i Blood Sweat &Tears e quel calderone di creatività che sono stati i Mothers Of Invention di Frank Zappa. Guercio che ha contatti con la Columbia spinge quelli che si erano chiamati The Big Thing a iniziare a scrivere brani propri. Piano piano il quartetto diviene una formazione a sette: si aggiungono Peter Cetera, Robert Lamm e Danny Seraphine per una formazione che alla classica squadra chitarra, basso, tastiere e batteria aggiunge un innovativo terzetto di fiati. Nel 1969 debuttano con addirittura un doppio album, fatto insolito, che in copertina ha il loro nuovo nome da band: i nuovi Chicago Transit Authority firmano il disco The Chicago Transit Authority, prendendo spunto dalla società pubblica del trasporto cittadino. L’album è di un rock blues potente con l’interessante apporto in stile jazz dei fiati. È anche un album politico, dato che nelle tracce qua e là ci sono stralci delle registrazioni delle proteste durante la drammatica Convention del Partito Democratico americano a Chicago nel 1968, con violentissime proteste e tafferugli in strada. Il disco ha i primi successi nelle splendide Question 67 And 68 e Does Anybody Really Know What Time It Is?. Il successo è buono ma la Società dell’Illinois gli impone di non usare il proprio nome, e la band diviene semplicemente Chicago. Durante i lavori per il successivo album, Peter Berg, il capo creativo della Columbia, inventa il logo della band ispirandosi a quello della Coca Cola: diventerà così iconico che la Band, tranne in poche eccezioni, lo userà come simbolo riconoscitivo, tanto da numerare semplicemente i dischi successivi con il logo stampigliato sulle più diverse superfici (logo che oggi è esposto permanentemente al MOMA di New York come icona contemporanea americana). Inaugura la serie nel 1970 l’uscita di Chicago, che viene comunemente definito Silver, dallo sfondo di copertina. Il disco, anch’esso doppio, perde la ruvidezza del primo per acquisire eleganza e un tocco decisamente più jazz. Le parti vocali vengono eseguite da Cetera, Kath e Lamm, l’album risente di un feeling e di una sicurezza altissima tra i musicisti, a tutto vantaggio della piacevolezza. La bella apertura con Movin’ In, con la bellissima parte di fiati, è trampolino per le interessanti The Road, Poem For The People, In The Country. La seconda facciata inizia con la delicata Wake Up Sunshine, singolo di grande successo, e poi Ballet for a Girl in Buchannon, che ha 7 parti, di cui 3 strumentali, e i cui movimenti Make me Smile e Colour My World furono pubblicati come singoli, entrambi in top 10. Il secondo disco contiene la famosa 25 or 6 to 4, che per anni fu pensata una canzone sulla droga (intesa come le parti di qualche miscela stupefacente) ma che invece Lamm ha sempre spiegato prenda il titolo dal fatto che l’ispirazione gli venne di notte quando mancavano 25 o 26 minuti alle 4. Altro pezzo famoso è la conclusiva Where Do We Go From Here?, scritta da Cetera e che riprende l’osservazione che un giornalista fece durante la diretta sullo sbarco degli Astronauti americani sulla Luna. Di qui in poi un altro disco doppio, Chicago III (dove il logo appare su brandelli di bandiera americana) e il live At Carnegie Hall, addirittura quadruplo, entrambi del 1971, che consacrano la band al successo, anche grazie a performance dal vivo davvero intense e convincenti. Una band dimenticata da scoprire e che non appare al suono nemmeno così vetusta.

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