Janis Joplin

Esiste, nell’immaginario pop, quello che è stato denominato il “club 27”, di cui fa parte anche Janis Joplin. Tutti i componenti del club, e non sono pochi, hanno in comune un destino tragico e una singolare coincidenza: sono morti a 27 anni. Hanno dissipato l’esistenza in un vortice di musica, fama e sostanze psicotrope.

Janis Joplin oggi avrebbe 75 anni, ma per tutti noi resta una giovane hippie dalla voce indimenticabile. Era nata il 19 gennaio 1943, a Port Arthur, Texas. In quella cittadina provinciale e conservatrice, cantava già a qualche festa di amici della high school, pezzi di Odetta e Bessie Smith. A Port Arthur la sua passione per Jack Kerouac, i beatnik e la musica dei neri erano motivi sufficienti per attirarle antipatie e insulti, in aggiunta ai crudeli sfottò per l’acne che le segnava il viso.

Appena ventenne partì per San Francisco, ma dovette tornare in Texas dopo essersi messa nei guai: troppi pasticci con le droghe e pure un arresto per taccheggio. Dopo aver provato a mettere la testa a posto (ripresa degli studi, progetti di matrimonio), nel 1966 se ne andò di nuovo a Frisco: il manager Chet Helms l’aveva ascoltata e la voleva come cantante di Big Brother And The Holding Company, il gruppo rock di cui si occupava. Nell’enclave hippie di Haight-Ashbury, Janis si guadagnò presto il centro della scena nel giro della controcultura psichedelica. Stava sul palco con un’energia travolgente e cantava come pochi: la sua voce roca poteva urlare il blues con passione feroce, ma era capace anche di ruvida delicatezza.

La fama su larga scala arrivò dopo la partecipazione al Monterey Pop Festival nel 1967 e il successivo contratto discografico con la Columbia.

L’album Cheap Thrills si arrampicò fino alla cima della classifica di Billboard, lanciando classici come Piece Of My Heart e il particolarissimo arrangiamento di Summertime.

Era l’epoca del “sesso, droga e rock’n’roll” e lei ci si tuffò senza mezze misure. Mentre la controcultura, però, diffondeva il verbo dell’espansione della coscienza via LSD, lei preferiva alcol ed eroina. Cercava oblio, più che percezioni alterate. Dietro all’immagine della cantante hippie sballata e sfacciata, c’era ancora l’adolescente insicura maltrattata dai compagni di scuola. Il suo roadie Vince Mitchell sosteneva: «Anche quando Janis era felice, comunque non era felice». La musica le permetteva di reinventarsi in modo completamente diverso,«una specie di miscela tra Lead Belly, una locomotiva a vapore, Calamity Jane, Bessie Smith, una trivella petrolifera e bourbon torcibudella», secondo la rivista Cashbox.

Alla ricerca di un suono diverso dal blues rock psichedelico, mollò i Big Brother per mettere insieme la Kozmic Blues Band (con risultati altalenanti) e infine la Full Tilt Boogie Band. Nel 1970 sembrava destinata a raggiungere nuovi traguardi: aveva la sua nuova band, si stava liberando dall’eroina ed era concentrata sull’album Pearl, quello di Me And Bobby McGee e Mercedes Benz. La mattina del 4 ottobre era attesa in studio per registrare la parte vocale di Buried Alive In The Blues. Sarebbe rimasta una canzone incompiuta: Janis Joplin giaceva nella sua camera al Landmark Hotel di Hollywood, stroncata da un’overdose di eroina. Il successo postumo di Pearl ha dato il via alla sua trasformazione in modello romantico della rockstar bruciata. Ma a renderla immune al trascorrere del tempo è ancora oggi quella voce, davvero “sepolta viva nel blues”.

Paolo Giovinazzi

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