Daniel Blumberg – On & On (2020)
di Gianfranco Marmoro
E’ successo di nuovo: l’inquieto poeta ha lacerato un altro straordinario affresco armonico fino a farne grondare il sangue. Ormai scolorito, pallido, Daniel Blumberg con “On & On” affonda ancor di più le mani in quel caos creativo sperimentato nelle varie tournée al seguito del precedente gioiello “Minus”.
Il meccanismo perfetto brevettato con Billy Steiger, Tom Wheatley, Ute Kanngiesser e Jim White è ancora protagonista del processo di reinvenzione del poco confortevole ma intenso lirismo country e neoclassicheggiante del musicista londinese, questa volta accompagnato anche dalle strabilianti invenzioni a base di field recording dell’artista e poetessa gallese Elvin Brandhi (vero nome Freya Edmondes), compagna di viaggio in alcune recenti esibizioni live in Italia. Ed è proprio dal rapporto del musicista con la performance sul palco che scaturisce l’analisi della nuova creazione di Blumberg, atto indissolubile dalle variegate e turbolente esibizioni ricche di sperimentazione e improvvisazione, che per “On & On” sono fonte primaria non solo creativa ma anche strutturale o, se suona più chic, destrutturale.
L’elemento sorpresa della title track, riproposta con ben tre varianti, è tale solo per chi non ha avuto la fortuna d’incrociare i numerosi concerti di Blumberg in Italia: era infatti affidato al refrain di “Minus” ("Sono qua, ma senza l'intenzione di provare qualcosa"), il ruolo di catalizzatore emotivo, intorno al quale intervallare canzoni, citazioni e improvvisazioni, catturate nel repertorio non solo solista, ma anche in quello più ambizioso condiviso con Hebronix in “Liv”.
Alla frase, scandita con tono struggente, "non mi aspettavo che l'amore fosse forte e continuasse all'infinito" (già proposta in alcune recenti esibizioni) è affidata l’idea lirica centrale di questo ultimo album, la cui vera novità è il ruolo marginale/assente del piano, a tutto vantaggio di un crepuscolare e corrosivo utilizzo di elementi noise, frammenti strumentali di violino, ritmi scomposti e chitarre in estasi elettroacustica, i quali accentuano quel processo di scarnificazione che è ossessione e delizia della musica di Blumberg.
Facile restare intrappolati nelle variazioni sul tema delle folgorazioni armoniche del musicista inglese, talmente potenti da essere assimilabili alla brumosa poetica di Mark Hollis (“Sidestep Summer”), o al silente fragore delle pagine sperimentali di Scott Walker, che in “On&On&On&On” quasi implodono nel volersi destreggiare tra corde graffiate e archi corrosi da dita metalliche.
Basta un attimo e la tensione diventa lieve, tra un’armonica che prende il tempo e un groove ritmico felpato che lascia scivolare le più tipiche atmosfere country di “Teethgritter”, onorando più che le prevedibili influenze di Mr. Zimmerman, il mistero e la magia delle pur semplici canzoni di Mickey Newbury, vera fonte d’ispirazione per il musicista inglese.
La natura più free e legata all’improvvisazione di “On & On” sposta l’asse stilistico dal cantautorato più classico alle visionarie intuizioni di Robert Wyatt e alle innovative soluzioni sonore di Keiji Haino (“ Silence Breaker”), ma tutto questo ardore e coraggio non va mai a scapito della potente forza melodica di Blumberg, raggiungendo una travolgente estasi nel gioiellino post-rock di “Bound”.
In “On & On” anarchia e ordine sembrano trovare un linguaggio comune, un compromesso che reinventa il ruolo del musicista rispettando le regole della fruizione moderna; le varie fasi dell’album mettono in campo quegli elementi, armonie potenti e improvvisazione ragionata, che infine alimentano le fantasiose sortite live (in qualche concerto il musicista ha utilizzato come elemento strumentale un aspirapolvere), senza però sminuire la funzione di macchina dei sogni che ogni buon album dovrebbe rispettare (“Pillow”), compito che anche “On & On” compie egregiamente, riconfermando Blumberg come faro del cantautorato contemporaneo, ovvero di quella schiera di autori che senza ignorare il passato stanno già attraversando il futuro.
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