Laurie Anderson

Lou ed io suonavamo insieme, diventammo migliori amici, e poi compagni, abbiamo viaggiato, ascoltato e criticato il lavoro dell’altro, studiato cose insieme (la caccia alle farfalle, la meditazione, andare in kayak). Facevamo battute ridicole; smesso di fumare 20 volte; combattuto; imparato a trattenere il fiato sott’acqua; andati in Africa; abbiamo cantato arie d’opera in ascensore; fatto amicizia con persone improbabili; ci siamo seguiti in tour quando è stato possibile; abbiamo avuto una dolcissima cagnolina che suonava il piano; condiviso una casa che era diversa dai nostri rispettivi appartamenti; abbiamo protetto e amato l’altro. Andavamo spesso a vedere arte, musica, spettacoli, teatro e ho osservato come amava e apprezzava altri artisti e musicisti. Era sempre così generoso. Sapeva come fosse difficile l’ambiente. Amavamo la nostra vita nel West Village e i nostri amici; e, in tutto ciò, abbiamo sempre fatto tutto nel miglior modo che ci riuscisse.

Come molte coppie, ognuno di noi ha costruito un modo d’essere: strategie, e a volte compromessi, che ci hanno permesso di essere parte di una coppia. A volte abbiamo perso un po’ di più di quello che eravamo capaci di dare, o abbiamo ceduto un po’ troppo, o ci siamo sentiti abbandonati. A volte ci siamo davvero arrabbiati. Ma anche quando ero fuori di me, non ero mai annoiata. Abbiamo imparato a perdonarci l’un l’altro. E in qualche modo, per 21 anni, abbiamo intrecciato le nostre menti e i nostri cuori, insieme. Era la primavera del 2008. Stavo camminando per strada, in California, mi sentivo abbattuta e parlavo al cellullare con Lou. “Ci sono tante cose che non ho mai fatto e che volevo fare” gli ho detto.

“Come cosa, per esempio?”

“Non so, non ho mai imparato il tedesco, non ho mai studiato fisica, non mi sono mai sposata”

“Perché non ci sposiamo?” mi ha chiesto. “Ci incontriamo a metà strada. Arrivo in Colorado. Che ne dici di domani?”

“Uhm … non pensi che domani sia un po’ troppo presto?”

“No, non lo penso”.

E così il giorno dopo ci siamo incontrati a Boulder, in Colorado, e ci siamo sposati nel giardino di un amico di sabato, indossando i nostri normali vestiti da sabato, e sebbene dovessi fare uno spettacolo subito dopo la cerimonia, per Lou andava bene. (I musicisti che si sposano è come quando si sposano due avvocati. Quando dici “accidenti devo lavorare in studio fino alle tre di notte” o cancelli tutti i tuoi appuntamenti per chiudere il caso, sai esattamente cosa significhi e non fai necessariamente dei salti di gioia).

Suppongo ci siano molti modi di sposarsi. Alcune persone sposano qualcuno che conoscono a malapena, cosa che può anche funzionare. Quando sposi quello che è anche il tuo migliore amico da diversi anni, dovrebbe esserci un altro nome per chiamare la cosa. Ma la cosa che mi ha sorpreso di più nello sposarmi è come si alteri il tempo. E anche come in qualche modo aggiunga una tenerezza che era, in qualche modo, completamente nuova. Per parafrasare il grande Willie Nelson: “Il 90% delle persone in questo modo finisce con la persona sbagliata, ed è questo che fa ancora andare gli juke box”. Lo Jukebok di Lou era pieno di amore e di molte altre cose: bellezza, dolore, storia, coraggio, mistero.

Lou era malato da due anni a questa parte: prima per il trattamento con interferone, una serie di iniezioni ignobili ma spesso efficaci per trattare l’epatite C che è equipaggiata con una bella serie di fastidiosi effetti collaterali. Poi è subentrato un cancro al fegato, che si andava a sommare a una forma di diabete in stato avanzato. Abbiamo ottenuto buoni risultati in ospedale. Lui ha imparato tutto quanto su queste malattie e sui rispettivi trattamenti. Ha continuato a fare Tai Chi ogni giorno per due ore più fotografie, libri, registrazioni, la sua trasmissione radiofonica con Hal Willner e molti altri progetti. Ha amato i suoi amici, e ha chiamato, mandati messaggi, email quando non poteva essere con loro. Abbiamo cercato di comprendere e applicare gli insegnamenti che il nostro maestro Mingyur Rinpoche impartiva; specialmente quelli più difficili come “devi imparare a padroneggiare l’abilità di sentirti triste senza in realtà essere triste”.

La scorsa primavera, all’ultimo minuto, ha ricevuto un trapianto di fegato che sembrava aver funzionato completamente e ha riguadagnato istantaneamente la salute e l’energia. Poi anche quello ha cominciato a funzionare male, e non c’era via di scampo. Quando il dottore ha detto: “E’ finita. Non ci sono più opzioni”, l’unica parte che Lou ha sentito era “opzioni”. Non si è dato per vinto fino all’ultima mezz’ora della sua vita, quando improvvisamente lo ha accettato: all’improvviso e completamente.

Eravamo a casa. Lo avevo portato via dall’ospedale qualche giorno prima. E anche se era molto debole, ha insistito per uscire fuori nella luce accecante del mattino.

Come persone use alla meditazione, eravamo preparati per questo: come muovere l’energia dalla pancia fino al cuore e poi spingerla fuori dalla testa. Non ho mai visto un’espressione così piena di meraviglia come quella di Lou quando è morto. Le sue mani stavano facendo la forma 21 del Tai Chi, quella dell’acqua che scorre. I suoi occhi erano spalancati. Stavo tenendo tra le braccia la persona che amavo più di ogni altra cosa al mondo e le parlavo mentre moriva. Il suo cuore ha smesso di battere. Non aveva paura. Ero riuscita a camminare con lui fino alla fine del mondo. La vita – così bella, dolorosa e spettacolare – non può dare qualcosa più di questo. E la morte? Penso che lo scopo della morte sia la realizzazione l’amore.

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