Deep Purple - Made In Japan (1972)
Quello di oggi è probabilmente uno dei dischi più famosi della storia del rock, e lo è per molti motivi. Autori della leggenda furono 5 ragazzi inglesi che insieme sono stati uno dei più grandi gruppi della storia del rock; nella seconda delle future innumerevoli formazioni, nei pochi anni in cui fu attivo con questa line up questo gruppo ha costruito pilastri fondamentali della mitologia della musica popolare occidentale. I Deep Purple quando esordirono nel 1968 con Shades Of Purple Deep e The Book Of Taliesyn erano una formazione ancora alla ricerca di un suono definito, in bilico tra il nascente progressive, i suoni psichedelici che arrivavano dalla California e i primi vagiti di quella trasformazione del rock che molti stavano iniziando a plasmare. Il cambiamento avviene quando Ritchie Blackmore (chitarra), Ian Paice (batteria) e Jon Lord (organo Hammond e tastiere) mandano via il cantante Rod Evans e il bassista Nick Simper e li sostituiscono con Ian Gillian, dagli Episode Six, e dalla stessa band Roger Glover al basso. Con la potenza vocale di Gillian la rivoluzione che inizia con In Rock e continua con Fireball e Machine Head (in serie 1971 e 1972) si chiama hard rock: insieme ai Led Zeppelin e ai Black Sabbath i Deep Purple in questa formazione detta Mark II sono i portabandiera di questo stile elettrico, potente, dal suono travolgente (e dalla presenza scenica epica). Il successo è folgorante, e i dischi dei Deep Purple scalano le classifiche di mezzo mondo, anche grazie a esibizioni dal vivo strepitose. Il management del gruppo nota picchi di vendite altissimi in Giappone e chiede ai nostri una serie di concerti nella terra del Sol Levante. La band è intimorita perchè sa dei gusti esigenti dei nipponici. Si concordano tre concerti in tre giorni, due ad Osaka (il 15 e 16 Agosto 1972) e uno al Teatro Budokan (il 17) di Tokyo. In quegli anni, sul successo e sul mito del The Great White Wonder (il bootleg dei Basement Tapes di Dylan & The Band) iniziava ad esserci una forte richiesta di dischi dal vivo: il problema era la relativa qualità del suono delle registrazioni in diretta e spesso i tagli imposti alla post-produzione. I Deep Purple chiamarono a registrare il fido Martin Birch, uno dei più grandi produttori e ingegneri del suono inglesi (che produrrà anche gli Iron Maiden, i Black Sabbath, i Whitesnakes e tanti altri). Nelle tre serate giapponesi l’alchimia tra gruppo e pubblico è totale, la voglia di stupire e di suonare alla grande diviene la magica pressione che permette di superare sé stessi e Made in Japan, che uscirà nel Dicembre 1972 in Europa e nell’Aprile ‘73 negli Stati Uniti è uno dei live del secolo (per molti IL live del rock). La scaletta originale prevedeva 7 pezzi, 5 registrati ad Osaka e 2 a Tokyo, ma il mio riferimento discografico di oggi è la versione rimasterizzata digitalmente, dai nastri originali, che aggiunge altri 3 brani, i bis dei concerti di Tokyo del 17 Agosto e di Osaka del 15. La band prende le canzoni simbolo dagli album precedenti ma le riveste di una nuova forza, tanto che in pratica quasi tutte diventeranno più famose nelle versioni live di questa performance (che ha davvero dell’incredibile): sono spesso dei trampolini di lancio per cavalcate di suono, duelli tra chitarra e organo da cardiopalma, per la forza e la magia della voce di Gillian, che stregherà un’intera generazione. Si parte con Highway Star (da Machine Head), iconica, stellare, potentissima. Poi i ritmi rallentano e arriva uno dei brani più famosi della storia del Rock: Child In Time, dedicato agli orrori della guerra sui bambini è chiaramente presa in prestito da Bombay Calling degli It’s A Beautiful Day ma segnata dagli urli strazianti e magici di Gillian e dagli assoli di Blackmore diviene un brano leggenda, usatissimo, per quanto difficilissimo (lo stesso Gillian finirà per non cantarlo più dal vivo negli anni successivi per mancanza di potenza vocale). Poi altro brano culto: Smoke On The Water, il riff del Rock, fu ispirata a Jon Lord nel 1971 dal fumo che la band, che era nello studio mobile dei Rolling Stones a provare materiale, vide sul lago di Ginevra proveniente dal Casinò di Montreux, dove si stava esibendo Frank Zappa con i Mothers Of Invention: uno “stupido” accese un fumogeno, incendiando l’intera struttura (che riaprirà solo nel 1975). Poi è la volta di The Mule, favolosa, dove è la batteria di Paice a farla da padrone, e fu ispirata alla band da un racconto di Isaac Asimov presente ne Il Ciclo delle Fondazioni. Arriva Strange Kind Of Woman, altro iper classico, che in questa sua versione definitiva ha un duello storico tra la chitarra di Blackmore e la voce di Gillian, minuti favolosi. Ma non finisce qui: una Lazy favolosa, con un intro elettronico e blues e la voce di Gillian che arriva solo dopo qualche minuto si smorza poi nei 19 minuti intergalattici di Space Truckin’, ai confini dell’Universo del suono. Nella versione Cd rimasterizzata, c’è spazio anche per versione devastanti e indimenticabili di Black Knight, Speed King e una cover di Lucille di Albert Collins, tutte e tre vestite di questo abito scintillante, elettrico e possente che era la loro musica del periodo, una vera e proprio macchina del suono rock. Due ultime curiosità: la foto di copertina, divenuta anch’essa iconica, non fu scattata in Giappone, ma in Inghilterra al Rainbow Theatre di Londra, e nella versione originale dell’Lp si intravede tra il pubblico un giovane, Phil Collen, che fonderà più in là i Def Leppard; per anni Gillian non trovò così “positiva” la sua performance, mentre per tutti gli altri membri della band questa fu la prova più vera e onesta di cosa erano i Deep Purple in quel momento. Sono curioso di sapere chi lo ascolterà per la prima volta cosa proverà, e cosa penserà di uno dei dischi probabilmente più belli, emozionanti e importanti della storia del rock (toglierei il probabilmente, ma i gusti sono cambiati…).
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