Tamikrest – Tamotaït (2020)

di Ignazio Gullotta

Tamikrest sono fra gli alfieri più conosciuti della vasta scena blues del Sahel. Si tratta di musicisti del popolo tamasheq, termine che preferiscono rispetto a tuareg, che usano la musica come occasione per esprimere le sofferenze e la voglia di lottare del loro popolo. I membri della band non possono tornare nella loro patria, Kidal in Mali, e sono quindi costretti in un esilio diviso fra Parigi e la desolata frontiera fra Mali e Algeria. Non c’è disperazione, ma consapevolezza della situazione e voglia di combattere. Non a caso il titolo del disco, Tamotaït, indica l’auspicio, la speranza che le cose cambino.

Già appena attacca il classico giro di chitarra caracollante, ipnotico, di un languore che sembra portare su di sé il peso delle miserie e dei drammi dell’esistenza, ci rendiamo conto che questa musica parla di vita vera, esprime il dolore di un popolo che nomade si trascina in cerca della libertà e che, malgrado tutto, tiene viva la speranza, la voglia di gioire, di stare insieme.

Musica concepita per unire anche se nasce dall’esilio
È musica che unisce le comunità, che crea empatia e solidarietà fra chi ascolta e chi suona, ha la forza e l’energia vibrante e seducente che la rende un canto universale che parla al cuore di tutti. Le traversie del popolo tamasheq influenzano oltre ai testi, anche le musiche e le atmosfere di Tamotaït.

Molte tracce sono intrise di un profondo sentimento di dolore, di nostalgia, di incertezza per il futuro, altre invece si infiammano per la voglia di resistere, lottare perché avvenga quel cambiamento evocato e auspicato nel titolo. L’esilio è certo condizione di sofferenza, ma i Tamikrest ne hanno saputo trarre linfa vitale per la loro musica, che si mostra aperta a ricevere influenze diverse. È il caso in particolare del Giappone, infatti alcune tracce sono state composte in un’isola del Sol levante. In Tabsit sono stati chiamati a suonare due musicisti giapponesi, Atsushi Sakta e Oki Kano con il loro tonkori shamisen, tradizionale strumento a cinque corde contribuendo all’intenso senso di malinconia e nostalgia che pervade la traccia.

Strumentazione e canto perfetti per i Tamikrest di Tamotaït
Tutto nel disco funziona alla perfezione, dall’intreccio delle due chitarre di Ag Mossa e Paul Salvagnac, con la sezione ritmica a suo agio sia nei brani più lenti, dando il ritmo ondeggiante ed esausto delle carovane, sia quando deve invece dare la carica e il senso di rivolta nei brani più rockeggianti e furiosi, come nella tumultuosa e trascinante As Sastnan Hidjan, o creare atmosfere di intensa malinconia, come in Azawad, contribuendo a far volare la nostra immaginazione intorno al fuoco nella notte sahariana.

E naturalmente un contributo decisivo è quello del canto dal fortissimo potere evocativo, capace di modularsi e di comunicare le varie emozioni, dolore, nostalgia, forza, rabbia, in modo suggestivo e convincente. Infine una citazione per la meravigliosa Timtarin con la struggente e melodiosa voce della cantante marocchina Hindi Zahra che offre una prova superba accompagnata dalle ammalianti tessiture ipnotiche delle due chitarre. Con Tamotaït i Tamikrest offrono quella che insieme a Chatma è la loro prova migliore e più matura.


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