Nadia Reid – Out Of My Province (2020)

di Beatrice Pagni

Contraddizioni, tenere, vulnerabili, intime, sicure, delicate, ossessionanti: è quello che porta con sè il terzo album di Nadia Reid assieme a melodie e testi evocativi. La scelta di allontanarsi da casa, dall’amata Nuova Zelanda, per approdare in America, negli studi della Spacebomb, si è rivelata un colpo da maestro per la cantautrice e per tutti i musicisti che si sono radunati intorno a lei. Dieci brani che dimostrano una nuova maturità e un uso intelligente di archi e corni per migliorare la produzione. Il terzo lavoro della cantautrice neozelandese è un disco che leviga la sottigliezza dello spazio sonoro con la grazia folk delle grandi voci del passato: Out Of My Province inizia lentamente, con una canzone d’amore al tempo di valzer, come se una band country si librasse in aria in preda a qualche stupefacente psichedelico.

Cinque anni dopo l’uscita del suo disco d’esordio Listen to Formation, Look for the Signs – e tre anni dopo l’acclamato follow Preservation – la Reid torna con un album imponente che ricorda la grazia illuminante di Bill Fay, le pennellate di Kath Bloom e un sentire folk che fa dell’essere popolare una qualità preziosissima. La voce della Reid ha sempre avuto, nonostante la giovane età, un profondo sentimento che raccontava di crepuscoli e riflessi notturni e anche stavolta il suo cantato reinventa, apprende, ricorda, si adatta a una nuova trama sonica. Quello che lei descrive come il suo «album itinerante, pieno di canzoni da strada» è un disco scritto in tournée e registrato nel Sud degli Stati Uniti che vive nella bellezza delle storie che racconta. I sontuosi arrangiamenti di Out of My Province racchiudono, al primo ascolto così come per i successivi, una serie di confessionali che fanno attenzione al desiderio, alla perdita e alla compassione dell’amore. A poco a poco, vediamo accumularsi nuove irresistibili complessità che si nascondono sotto la superficie: il viaggio irrequieto, ora della reminiscenza ora della memoria, dipinto dai brani del disco, dimostra l’eleganza enigmatica della sua autrice, il capitale emotivo del suo suono. La tavolozza musicale in cui si muovono i brani mostra tanto il luccichio valzeriano di All of My Love – ​​un diario viaggio senza tempo e senza luogo che profuma di Cat Power – quanto il turbinio spettrale del twang chitarristico dell’ossessionante Get the Devil Out. Se l’arioso alt-rock di Oh Canada arriva immediato e trasporta altrove, la ballad country High & Lonely volteggia con maturità immacolata in mezzo a un delicato purgatorio di accordi classicissimi.

Il processo creativo di Out of My Province sembra trovare una cantautrice in preda alla voglia di comporre, di crescere artisticamente, in studio e davanti al suo pubblico. Il punto di forza dell’artista sembra essere la calma, qualcosa che potrebbe stridere con i nostri tempi frenetici e costantemente filtrati da finzioni velocissime; trasportati dalla chitarre acustiche, da violini e ottoni, e candidi ritmi di batteria, i brani si dispiegano liberi, facendo a meno del ritornello come climax e suonando tuttavia potenti in ogni momento, grazie anche alla voce enfaticamente chiara e mai troppo carica della Reid. «And I am all alone in Italy now», canta nella splendida Best Thing, ricordando le due settimane trascorse ad Amalfi, esplorando una solitudine marittima che sembra proprio averle donato una grazia compositiva mai trovata prima. E che un po’ di merito lo abbia avuto anche la nostra aria salata, o forse quel profumo di limoni, non può che regalarci un altro sorriso di tenerezza e incondizionata fiducia. Nel talento vero e genuino di Nadia Reid, di Dunedin, Nuova Zelanda.

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