Stevie Ray Vaughan & The Double Trouble - Texas Flood (1983)

Uno dei più grandi chitarristi di tutti i tempi ha la sua personale folgorazione per la chitarra a 10 anni, quando a Dallas, nel Texas, gliene fu regalata una. E in poco tempo da autodidatta è abbastanza abile da esibirsi nei locali della città. Stevie Ray Vaughan nel 1972 si trasferisce a Austin dove il fratello Jimmie si esibiva. Lì Stevie inizia a conoscere i grandi dischi del blues, a modellare il suo suono a quello di giganti come Hubert Sumlin, Albert King e Jimi Hendrix, che diventerà il suo preferito. Nel 1975, a vent’anni, si unisce all’ex bassista di Johnny Winter, altro immenso chitarrista texano, Tommy Shannon e forma i Cobras, con cui inizia piccoli tour nello stato americano. 5 anni più tardi forma la sua band, i Double Trouble, con Tommy Shannon e il batterista Chris Layton. Con questo trio l’intesa è formidabile, nonostante la non eccelsa vena da cantante di Vaughan, ma la reputazione sale tanto che nel 1982 hanno la possibilità di suonare alla serata blues del leggendario Festival Jazz di Montreux, sul lago di Ginevra. La perfomance è sensazionale e diviene il trampolino di lancio del gruppo. David Bowie lo vuole in Let’s Dance e in apertura di qualche data del suo tour, Jackson Browne lo segnala alla Columbia, che per produrre il primo disco chiama addirittura John Hammond, lo storico scopritore di Dylan e Bruce Springsteen. Registrato a Los Angeles nello studio di registrazione di Jackson Browne, Texas Flood è il torrido e meraviglioso esordio del trio, uscito enl giugno del 1983. Vaughan mette subito in chiaro che la sua chitarra è “sudista” come fu quella del mitico Duane Allman. In scaletta pezzi propri si alternano a classici e traditional, tutti virati in salsa blues, e dominati dalla sua maestria tecnica alla chitarra. Il disco parte con lo swing rock di Love Struck Baby, poi cala il primo hit nella bella Pride And Joy, ma è con Texas Flood, classico di Larry Davis che gli assoli di slow blues elettrico arrivano a vette altissime. Non si può non ringraziare i giganti del blues con Tell Me di Howlin’ Wolf, e una struggente versione strumentale di Testify, classico degli Isley Brothers del 1964. In scaletta anche la sua versione di Mary Had A Little Lamb di Buddy Guy, uno slow blues sensuale e tecnico come Dirty Pool e due strumentali, che diventeranno due suoi classici nei concerti: Rude Mood, e la delicata Lenny, dedicata alla sua Fender Stratocaster così da lui battezzata. Il successo è buonissimo e la replica del 1984 con Couldn’t Stand The Weather è all’altezza (con la title track e una rilettura favolosa della Voodoo Chile hendrixiana sugli scudi) ma il successo porta con sè gravi conseguenze. È infatti tossico e alcolizzato quando esce Soul To Soul nel 1985. Va meglio dal vivo, come dimostra Live Alive, doppio davvero bellissimo. Si disintossica, con In Step nel 1989 ritorna in splendida forma e il successivo tour è un trionfo, costellato da partecipazione in numerosi album di altri artisti. Il 26 agosto del 1990 termina un concerto insieme a Buddy Guy ed Eric Clapton. La mattina dopo l’elicottero che lo avrebbe dovuto portare a Chicago si schianta consegnando la sua carriera direttamente alla leggenda. L’emozione fu grandissima nel mondo della musica, che da allora ricorda con riverenza e nostalgia uno dei più grandi chittaristi degli ultimi decenni, un texano dalla voce che non era un granché, ma dalle dita emozionante sulle corde di una chitarra.

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