Bill Fay – Countless Branches (2020)
di Ricardo Martillos
C’è sempre una cortina di mistero intorno alla figura del grande Bill Fay, se cercate in rete trovate soltanto che è nato a Londra nel 1943 e poco di più. Non che la cosa ci faccia perdere il sonno, piuttosto alimenta la curiosità e il gusto di scoprire e decifrare meglio il personaggio. Quello che ci interessa di più però sono le tante meraviglie disseminate sul suo cammino musicale iniziate nel lontano 1970 col bel disco omonimo che lo ritraeva come un Gesù Cristo che camminava sulle acque, anche se in realtà era un laghetto di Hyde Park e lui era in piedi su un piccolo promontorio. Il disco seguente, “Time Of The Last Persecution” era addirittura migliore, anzi si può considerare il suo capolavoro ed una delle vette più alte dei songwriters della terra d’Albione, al pari di conclamati capolavori come i tre album di Nick Drake e “Solid Air” e “Inside Out” di John Martyn. Bill Fay non ha avuto la fortuna, si fa per dire, dei due sopracitati che quantomeno hanno avuto una rivalutazione post-mortem non indifferente, la stessa malasorte che fece sì che si ritirasse dall’ambiente musicale salvo incidere varie tracce poi recuperate in splendidi album posteriori. Diciamo che la sua figura è sempre rimasta confinata in un angolo, insieme ad oscuri cantori che meritano una citazione, i loro nomi sono Jimmie Spheeris, Marc Brierley, Robin Lent, Keith Christmas e lo stesso Allan Taylor. La cosa bella è che i primi due lavori di Bill Fay erano editi dalla gloriosa Deram, quindi sulla carta c’erano tutti i presupposti per far risaltare un talento così grande. Quando nel 2012 arrivò la notizia che un nuovo disco del londinese era sul mercato, il bellissimo “Life Is People”, molti non ci credevano, anche se nell’era digitale i ritorni clamorosi sono all’ordine del giorno, come quelli gloriosi di Mark Fry, Linda Hoyle, Vashti Bunyan, e Linda Perhacs. “Who is the Sender?” (2015) non era da meno ma purtroppo al di là di un robusto supporto della critica il tentativo di Fay d’allargare il suo pubblico non si può dire riuscito completamente, come succedeva negli anni '70, quando a conoscerlo erano i soliti collezionisti con collo da giraffa. Adesso il nuovo anno ci regala questo meraviglioso “Countless Branches” , forse la cosa più bella incisa da Bill Fay dopo il grande ritorno di otto anni fa, anche se risulta difficile mettere in fila tre album di questo valore. Il punto di forza del nuovo disco sembrano essere gli arrangiamenti che spesso sono ridotti all’osso, voce e chitarra/piano, al punto che sembra un disco di inediti di cinquanta anni prima e questo non può che essere un complimento. Il tutto non è affatto casuale, perché sbirciando sulla pagina ufficiale della Dead Oceans si legge che queste composizioni sono in realtà tracce che Fay teneva nei suoi preziosi cassetti da oltre 40 anni ed alle quali ha dato una rinfrescata, cambiando all’occorrenza anche le liriche. La cosa bizzarra è che per una strana e incomprensibile scelta commerciale il disco esce in una versione standard di soli 27 minuti per dieci brevi tracce abbinato ad una versione più robusta di due vinili con sette bonus tracks delle quali ben quattro sono versioni differenti delle canzoni del disco ufficiale. Con una soluzione di continuità con i due precedenti dischi anche “Countless Branches” è stato prodotto da Joshua Henry, che in questo caso potremmo definire l’uomo della resurrezione, musicale ovviamente. La pulizia di suono e la semplicità delle canzoni qui presenti rappresenta il suo punto di forza al pari di un songwriting impeccabile che da oltre 50 anni non conosce cedimenti. Non esiste nel panorama attuale un artista che componga al livello di Bill Fay, molti ci hanno lasciato anzitempo, dei vecchi leoni, Tom Waits è latitante, sembra essere il grande Van Morrison quello a tenere botta meglio di tutti, ascoltatevi il suo ultimo splendido album per vedere se diciamo bugie. In questo album appare superfluo suggerire una canzone in luogo di un'altra, primo perché sono tutte impeccabili e secondo perché essendo il disco molto breve, 35 minuti per ben 13 tracce inedite fate prima a metterlo in loop ed ascoltarlo a getto continuo. Ma se proprio siete curiosi date un ascolto a How Long, How Long, Your Little Face, Filled With Wonder Once Again, tutte presentate in due versioni, la mirabile Salt Of The Earth e la magia di Love Will Remain. Qui possono scendere copiose lacrime. Nel secondo disco della versione estesa, si fa per dire, appare delittuoso che sia finita la bellissima Tiny, una delle cose migliori della seconda vita artistica del 76enne Bill Fay. Sarà inevitabile l’inclusione di “Countless Branches” nei top ten del 2020, lo sappiamo che questo può far sorridere visto che gennaio non è ancora finito ma non vediamo all’orizzonte nessuno capace di produrre un lavoro che quantomeno eguagli questi mirabili bozzetti musicali. Lunga vita a Bill Fay e profonda compassione per tutti quelli che non lo conoscono e non si sono mai avvicinati alla sua arte.
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