Arthur Blythe - Lenox Avenue Breakdown (1979)

L’album di oggi oltre i suoi significati artistici ha per me un valore molto personale. Perchè, e lo ricordo benissimo, è stato il primo disco jazz che abbia mai comprato. Con questo acquisto, il titolare del mio negozio di dischi preferito (che fortunatamente è ancora aperto e ha tanti clienti affezionati) mi elesse “più giovane intenditore di jazz” della città. In verità io a quell’età di jazz non ne sapevo nulla, mi colpì solo la copertina, che trovo bellissima; la ristampa, arrivata dopo vent’anni dell’uscita, di questo disco mi fece conoscere Arthur Blythe. Blythe è uno dei grandi dimenticati del jazz, per due grandi motivi: era uno della generazione appena successiva ai giganti del jazz quali Charlie Parker, Miles Davis, John Coltrane, Sonny Rollins e poi quando iniziò la sua carriera solista il jazz, che secondo le parole di Winford Marsalis “stava morendo” (malattia che ciclicamente colpisce gli stili musicali), era attraversato dalla febbrile rivoluzione del jazz rock, che tanto fece gridare allo scandalo i puristi (altra consuetudine ciclica). Arthur Blythe nacque a Los Angeles, ma crebbe a San Diego. A 19 anni torna nella città degli angeli ed inizia a suonare r&b con il suo sassofono contralto, che suona dall’età di 9 anni. La prima grande esperienza è con il gruppo di Horace Tapscott, con cui suona nell’ottimo The Giant Is Awakened, siamo nel 1969. Poi una serie di partecipazioni illustri nelle band di grandi come Gil Evans, Lester Bowie, Chico Hamilton, McCoy Tyner. Sin da subito viene fuori il suo stile veloce e caratterizzato da un vibrato molto accentuato, che rende il suo suono “allegro” e spensierato. Nel 1977 la India Navigation gli offre un contratto per un disco solista, e Blythe risponde con la pubblicazione di The Grip. Blythe più che al jazz rock prende dal free di Cannonbal Adderley, ma lo riveste di un suono moderno ed urbano che lo rende subito riconoscibile. Si trasferisce a New York e l’anno successivo pubblica il suo primo grande successo. Passa alla Columbia e pubblica In The Tradition, che si dal titolo vede un suo spostamento verso il jazz “classico”, ripreso in classici come In A Sentimental Mood di Duke Ellington o la splendida Naima di John Coltrane. Ma Blythe è uno che non ama stare sugli allori, e per l’album successivo mette su una squadra magnifica di musicisti, questa volta di chiaro orientamento jazz rock. Lenox Avenue Breakdown è un omaggio alla Lenox Avenue di Harlem, conosciuta anche come Malcom X Avenue. In scaletta 4 pezzi, bellissimi, dove quella dimensione urbana del suo suono prende il volo: Down San Diego Way descrive in suoni una città pronta per il carnevale, mentre la stupenda Lenox Avenue Breakdown la vita della strada, con uno storico assolo di James Newton al flauto e un divertente accompagnamento di trombone. Più calma e armonica è Slidin’ Through, mentre la ritmica e dolce Odessa chiude il disco in maniera dolce e delicata. Insieme a Blythe e Newton, altri grandi musicisti come Bob Stewart alla tuba, James “Blood” Ulmer con i suoi guizzi di chitarra funk, Cecil McBee al basso e il grande Jack DeJohnette, che suonò per anni nel gruppo di Miles Davis, alla batteria. Un ultima parola sulla stupenda copertina opera di Mark Hess, illustratore e disegnatore dal tocco delicato ma graffiante nei contenuti. Blythe diventerà famoso con questo disco che arriverà ai primi posti delle classifiche jazz del 1979 e continuerà una ottima carriera live fino agli anni 2000, quando l’aggravarsi del morbo di Parkinson lo porterà alla scomparsa nel 2007.

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