Miles Davis - Birth Of The Cool (1957)

Voglio iniziare l’anno di storie musicali raccontando di una rivoluzione del jazz. Una rivoluzione però fatta a colpi di strumenti a fiato poco utilizzati nel genere e ad un approccio delicatamente innovativo. Artefice di questa trasformazione MIles Davis, la prima di una serie vitale e creativa che lo accompagnerà per tutta la vita, segnando di fatto la cultura musicale del ‘900. Siamo alla fine degli anni ‘40, Davis è un giovane rampollo alla corte di giganti come Charlie Parker e Dizzy Gillespie, quelli che inventarono il bebop. Sin da subito Miles voleva esplorare un nuovo linguaggio, ma non trovava appigli. Nel 1947 incontra Gil Evans, superbo pianista ed arrangiatore, e fa amicizia anche con Jerry Mulligan e John Lewis, animati dalla sua stessa idea di andare oltre i canoni del bebop. Evans aveva poco tempo prima riarrangiato un pezzo scritto da Davis, Donna Lee, con un intento preciso: eliminare la “brutalità” del bebop, la sua ossessiva ricerca della velocità e dell’assolo fantasmagorico, le note troppo alte che limitavano la musicalità delle partiture. Per questo Evans decise di allargare il classico quintetto a strumenti come il trombone, la tuba e il corno francese per sfruttare i loro toni medi. Davis fa sua questa organizzazione e le idee guida di Evans e mette su nel 1948 il primo nonetto: tromba, trombone, corno francese, tuba, sax contralto e sax baritono accompagnata da una sezione ritmica di pianoforte, batteria e contrabbasso. Le prime esibizioni avvennero lo stesso anno a nome Miles Davis Band, qualche volta Organisation, e spesso in cartellone oltre che il nome dei musicisti venivano scritti anche i nomi degli arrangiatori. Nel 1949 Davis firma un contratto per la Capitol Records che si concretizza in tre vibranti sessioni di registrazioni del nonetto, due nel 1949, a Gennaio e Aprile, l’altra nel Marzo del 1950. Alle tre registrazioni partecipano in tutto 17 musicisti, che si alternano agli strumenti. Solo Davis, Gerry Mullingan al sassofono baritono, Lee Konitz al sax contralto e Bill Barber alla tuba parteciparono a tutte e tre le sessioni, nelle quali tra gli altri si alternarono eccellenze come Max Roach (batteria), Al Haig (pianoforte), Junior Collins (corno francese). Furono registrati circa trenta brani, che iniziarono ad essere pubblicati un po’ alla rinfusa sin dal 1950. Solo nel 1957 la Capitol decise di pubblicare Birth Of The Cool interamente, proprio perchè in quegli anni si era affermata come cool jazz la vellutata e delicata rivoluzione di Davis, Evans e Mulligan. Nel disco 12 piccoli capolavori, alcuni famosissimi come Jeru e Venus De Milo di Mulligan, Budo, scritta precedentemente da Davis con Bud Powell, Boplicity, firmata con lo pseudonimo di Cleo Henry (in realtà il nome della madre di Miles), Rouge di John Lewis, ma anche Move di Denzil Best, la splendida Israel scritta e arrangiata da Johnny Carisi, Moon Dreams di McGregor e Mercer e Godchild di George Wallington. In scaletta anche un brano cantato, Darn That Dream, con la voce di Kenny Hagood. Il cool jazz rappresenta una via di mezzo tra la big band del passato e la frenesia eccitante dei quartetti del bop, riuscendo ad amalgamare gli stili in maniera convincente, tanto è che presto molto jazz bianco californiano ne divenne maestro, basta pensare a Dave Brubeck. Resta un disco di fondamentale, impronta storica per vari motivi: l’esecuzione perfetta in senso stilistico, per la bellezza del repertorio e perchè il cambiamento è portato con grazia a persuasione, cosa che Davis, nelle sue future rivoluzioni, non userà più: perchè da questo album diventerà una divinità vivente del jazz.


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