Iggy Pop – Free (2019)

di Massimo Quarti

Caro Iggy, in occasione dell’uscita del tuo nuovo disco “Free”, volevo scriverti due righe.

So che non ti sei mai sentito un artista al pari di David o Lou, non ne hai mai fatto segreto e, entrambi, ti hanno sempre aiutato, scritto molti pezzi, arrangiato molti altri, David ti ha registrato, prodotto, seguito in tournée, Lou si è offerto di sistemarti molti brani, tutto quello che dovevi fare era mettere giù una traccia, il resto lo faceva lui. Tu hai sempre guardato ai tuoi amici come a delle luci guida, senza le quali rischiavi di perderti. E lo hanno fatto perché volevano che tu sopravvivessi, perché stavi vivendo sempre al limite, sul “confine della notte”; ed erano lì, come se sapessero che il loro tempo sarebbe stato più breve, che alla fine era giusto che rimanessi tu, nessun altro, allora ti hanno reso celebre e tu ti sei tagliato sul palco, hai sanguinato, hai tirato giù le mutande mentre cantavi, ti sei fracassato un’anca, ti sei spaccato i denti, ti sei rasato le sopracciglia e ricoperto di brillantini prima di salire a dimenarti e sudare come un matto, per capire alla fine a cosa servivano quelle strisce di peli sopra gli occhi.

Oggi una rockstar come te dovrebbe avere l’atteggiamento di Mick Jagger o Jimmy Page e invece no, tu ti fai ancora i tuoi bagni di folla come l’anno scorso a Bari, abbracci ragazzi e ragazze, e poi i selfie, le strette di mano, gli autografi sulle scarpe, perché non sei mai salito sul palco per lavoro, certo, hai sempre detto che gli assegni sono intestati a Mr. Osterberg ma chi fa i soldi è Iggy, ma non è mai stata realmente questione di soldi, anche perché nel 1990 non avevi ancora il riscaldamento in casa. È stata questione di essere vivo. In questo modo o in nessun altro modo, tanto per citare David.

Ecco perché “Free” è un altro gradito capitolo della tua discografia, sembra quasi il terzo capitolo iniziato con “Post Pop Depression”, proseguito con “Tea Time Dub Encounters”, come se fosse la chiusura di una trilogia ma forse sto tirando troppo a corda, sta di fatto che “Post Pop Depression” era una collaborazione in cui ancora scrivevi ma dicesti che sarebbe stato il tuo ultimo album per come avevamo inteso i tuoi album fino ad allora, e così è, almeno finora. Poi cos’era quella dichiarazione quando hai fatto uscire “Preliminares”? “Sono stufo di quella musica di merda da tre accordi”. Ai tempi non sapevo se prenderti sul serio o no, poi ho capito. Ho capito che il punk è parte di te ma non basta alla tua anima di piccolo esploratore.

Ma non è proprio questo il bello di te? Non so mai cosa avrai in serbo e ogni volta mi chiedo cosa farai. È qui il bello: un continuo rinnovamento. Per spiegarmi: se oggi leggo che una cantautrice si chiama, per esempio, Chelsea Wolfe, prima ancora di mettermela in cuffia, so esattamente cosa aspettarmi e infatti non vengo mai smentito e torno a dormire. Ma tu da 50 anni ti fai chiamare Iggy Pop, (“Pop”, anche questo ce l’hai spiegato più volte, viene da “scoppio”) oggi torni con un album dai toni jazz, ambient, e stai diventando un’icona fashion senza volerlo mentre tutto il mondo cerca di essere “cool”.

Ti rendi conto che ti puoi fagocitare qualunque artistoide presuntuoso e falsamente intrigante ogni volta che ti viene un po’ di fame, recitando semplicemente “I want to be free. Free” nella title track, oppure senza prenderti sul serio mentre canti James Bond, traccia migliore dell’album insieme a Dirty Sanchez, con quel sorriso di chi è arrivato, di chi ha dato tutto e ora lo scettro dovrebbe passare ad altri, ma sai che così non sarà, anche perché sai anche che la “post pop depression” un giorno arriverà, e nessuno ti potrà sostituire. L’aiuto di Lou lo omaggi in modo splendido recitando una delle sue poesie in We Are The People e riferimenti letterari non mancano, vedi Do Not Go Gentle Into That Good Night di Dylan Thomas. Poi sento anche Sonali, il secondo singolo tratto da “Free” e capisco che hai solo voglia di fare una musica che ti piace e sperando che piaccia ad altri, ma ti deve prima di tutto divertire, quel “fun” che hai sempre inseguito, forse l’hai trovato oggi. Ed è questo che ti fa essere così lontano da tutto quello che ci circonda, ma non perché sei in qualche modo rimasto indietro ma perché sei l’esempio assoluto, l’archetipo della persona viva. Sei sempre lì, a dirci “Hey! Io sono qui. E voi dove siete”?

(Già: “Dove siete”? Siete mica chiusi in casa ad ascoltare qualche noioso smandrappozzo pseudo-esoterico che non finisce più? Se avete sete di bellezza, se volete respirare, spegnete tutto e ascoltate “Free”, ascoltatelo mentre correte all’alba, mentre andate all’appuntamento con amici per un aperitivo, mentre tornate dal lavoro in un vagone stipato di gente, mentre parlate di progetti futuri con il vostro partner, organizzate un viaggio ascoltando “Free” e lasciatevi ispirare perché è pura ispirazione).

Oggi sei ancora qui e continui a tornare in vesti sempre differenti, affiancato da collaboratori che puoi permetterti di scegliere (Noveller e Leron Thomas in questo caso) e la trasparenza delle tue scelte di delegare ad altri artisti la scrittura è di una sincerità e coraggio degni di una grande persona, è la prova della vastità del tuo essere Iggy fuckin’ Pop.

tuo grande ammiratore

Max

P.S.: Ma quanto jazz avete ascoltato tu e David in quell’appartamento di Berlino?

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