Pere Ubu – The Long Goodbye (2019)

Per lungo tempo i Pere Ubu sono stati la mia ossessione. Il motivo è da addebitarsi al fatto che non riuscivo a trovare nulla dei loro dischi, per la precisione dei loro primi cinque album, quelli del periodo classico, che li fecero diventare una leggenda del post-punk nonché uno dei complessi più rivoluzionari del rock alternativo. La mia voglia di ascoltarli fu finalmente esaudita nel momento in cui, nel 1996, venne dato alle stampe il cofanetto “Datapanik in the Year Zero”, che raccoglie i primi cinque lavori dei nostri.
Sono trascorsi due anni dal loro ultimo disco, ma ne sembrano passati molti di più a causa delle vicissitudini che hanno colpito David Thomas, da sempre il membro di riferimento della formazione. Il tour di “20 years in a Montana missile silo” fu costretto a subire uno stop a causa dei problemi di salute di Thomas nel novembre del 2017. David ha subito un paio di ricoveri, è un uomo ormai vecchio e malato. Forse “The long goodbye” rappresenta il loro canto del cigno. Non pensiate, però, che si sia alcun tipo di ammorbidimento sonoro, non sarebbe nelle loro corde.
Il cantante, dopo il ricovero, si ritirò per comporre in solitudine il materiale che ora siamo pronti ad ascoltare. Secondo le affermazioni di Thomas questo disco riassume tutto quanto i Pere Ubu hanno raccontato in modi e forme diverse in quarant’anni di attività. Chiuso nelle quattro mura del proprio studio di registrazione, il leader armato di sola fisarmonica, qualche synth e un set di vetuste batterie elettroniche ha dato forma ai pezzi che sono entrati a far parte dell’album. Solo in un secondo momento i componenti del gruppo hanno dato il loro contributo, anche se in tempi e luoghi diversi. I musicisti che hanno avuto parte importante nella riuscita del lavoro sono: Keith Molinè alla chitarra, Darryl Boon al clarinetto, Michele Temple al basso, P.O. Jorgens alla batteria, ma soprattutto la coppia formata da Gagarin, che si cimenta al laptop e drum machine, e da Robert Wheeler, che si impegna allo theremin e ai synth analogici. Le sonorità che ne escono dai solchi sono maggiormente astruse e caratterizzate da una componente elettronica mai così insistita, ma perfetta per supportare il tono declamatorio e acido del leader.
I pezzi si caratterizzano per una certa eterogeneità formale, abbiamo visioni da incubo in “Skidrow-on-sea”, beat liquidi in “Road is a preacher”, atmosfere robotiche che rimandano alla wave teutonica (“Fortunate son”), bassa fedeltà per fare in modo di aggiungere elementi sonori devianti al clarinetto di Boon (“Who stole the signpost?”).
L’edizione in CD vanta un disco live bonus, registrato nel dicembre 2018. L’ex membro Chris Cutler (storico batterista degli Henry Cow e proprietario della ReR) si è unito a David Thomas, Gagarin e Keith Moliné per l’occasione in un affollato teatro a Montreuil, Parigi. Lo show includeva anche il classico di Pere Ubu “Heart Of Darkness” e “Running Dry” di Neil Young.
Se davvero “The long goodbye” sarà la conclusione della storia dei Pere Ubu, credo che sia la migliore e più degna possibile per questi campioni che tanto ci hanno donato nel corso di questi quarant’anni che li hanno visti protagonisti!!!

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