Bruce Springsteen & The E-Street Band - Live/1975-85 (1986)

In una delle più belle interviste musicali che conservo gelosamente, uno dei miei cantanti preferiti racconta delle emozioni che il palco dà ad un cantante: c’è chi ne è quasi intimorito, e la storia della musica è piena di geniali artisti da studio ma timidi e impacciati dal vivo; c’è invece chi in studio non riusciva ad esprimere al massimo il suo impegno, ma che dal vivo veniva liberato da ogni vincolo per scatenarsi senza freni. In uno dei più celebri libri sulla musica rock di tutti i tempi, Il Rock é Finito, Simon Frith descriveva le performance dal vivo di Bruce Springsteen come “un atto di esaurimento”, cioè l’artista non era davvero contento fin quando, esausto, sudato e stravolto, non si inchinava per l’applauso finale, fino a quando non avesse esaurito tutto ciò che aveva. 
Bruce Springsteen fu la scommessa, ad inizio anni ‘70, della Columbia e dei grande Tom Wilson, di trovare un nuovo Dylan (Wilson fu colui il quale davvero scoprì e produsse il gigante di Duluth). Springsteen univa una vocalità selvaggia e che diventerà iconica con una scrittura fluviale dei testi, che raccontavano senza peli sulla lingua le frustrazioni, le tensioni, i sogni della classe media americana, raccontati nel caro New Jersey, di cui diventerà uno dei simboli più grandi. Springsteen è accompagnato da un gruppo di musicisti amici, la E-Street Band, che prende il nome dalla E Street dove c’era la casa della mamma di David Sancious, il primo tastierista del gruppo. I due anni, 1975-1985, che compongono il decennio di canzoni di questo disco sono i due punti centrali della sua carriera: nel 1975, dopo due dischi belli ma incerti, scrive la disgregazione del sogno americano nello storico e fondamentale Born To Run, nel 1985 ne descrive la trasformazione nell'altrettanto storico Born In The USA, in piena era Reagan e di yuppismo. In mezzo una parabola fondamentale per la storia del rock, con dischi immensi (Darkness On The Edge Of Town, 1978, il doppio The River, 1980, il solitario e dolente Nebraska, 1982) ma soprattutto, come dirà nelle note di questo disco, 1001 concerti con la sua fidata band, che contribuiscono a creare il mito Springsteen, con concerti incredibilmente intensi, dalla durata spesso interminabile, con record anche di 4 ore filate, ma soprattutto con un coinvolgimento assoluto dei musicisti e del pubblico. Live 1975/85 nasce dall’idea del fido manager Jon Landau (famoso critico giornalistico di Rolling Stones prima, poi folgorato durante un suo concerto dove dirà le famose parole “ho visto il futuro del rock’n’roll e il suo nome è Bruce Springsteen”, divenendo il suo manager) di raccogliere un meglio di questa decade spettacolare, che in verità era già stata ricordata da infiniti bootlegs e altri tipi di registrazioni da fan e appassionati. Ne esce fuori una selezione che sebbene composta da 40 canzoni per 5 lp ne è comunque una descrizione parziale. Ma bastano le prime note di Thunder Road, solo piano e armonica e registrata nel ‘75 a pochi mesi dalla sua pubblicazione, per lasciarsi trasportare in un viaggio musicale a perdifiato. Che passa per Born To Run, per Badlands, per una storica e incredibile Tenth Avenue Freezed-Out con la sezione fiati della Miami Horns Orchestra, Backstreets, per la così tanto dolce e autobiografica Rosalita, che raccoglie i tormenti del giovane artista che sta per iniziare la carriera. E poi altri classici fondamentali, come Racing In the Street, Born In The USA, The River in un tripudio di classe ed energia, che rende indimenticabili anche brani minori, come la storica No Surrender che diventerà uno dei momenti clou dei suoi concerti e un omaggio a Tom Waits nella ripresa di Jersey Girl. In questi dieci anni cambia anche la E-Street Band. Del primo periodo, 1975-1980 sono Roy Bittan al piano, il “ministro del suono” Clarence Clemons al sassofono, Danny Federici all’organo e al secondo piano, Garry Tallent al basso e Max Weinberg alla batteria, a cui nel 1980 si aggiunge il fido Little Steven alla chitarra e nel 1984 prima Nils Lofgren alla chitarra e Patti Scialfa ai cori, che diventerà la futura seconda signora Springsteen. Dall’album furono ricavati due singoli, War, una cover del classico della musica soul di Edwin Starr e poi una versione, è proprio il caso di dirlo, incendiaria di Fire. L’attesa per l’album era così immensa che solo in prevendita vendette un milione di copie, divenendo il primo disco che debuttò al primo posto nelle classifiche di Billboard dopo Songs In the Key Of Life di Wonder nel 1976. Divenne anche il primo, e unico, quintiplo lp ad essere numero uno, e rimane ad oggi uno dei live più venduti di tutti i tempi. E va da sé che con tutte queste premesse rimane uno dei live più vibranti, eccitanti e belli di tutti i tempi, dove la sintonia mistica tra artista e pubblico è più evidente e chiara. Un disco mitico, in 5 atti fenomenali.

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