In questa playlist puoi ascoltare tutti i Pink Floyd dal 1967 al 2014

L’anno scorso un critico rock che, curiosamente, ha lo stesso nome del bassista dei Rolling Stones—Bill Wyman—ha assolto un compito non richiesto, per certi versi assurdo, ma gradito: ha realizzato una classifica di tutte le canzoni, dalla peggiore alla migliore, dei Pink Floyd. Ti abbiamo parlato molte volte della band di Syd Barrett, Roger Waters, David Gilmour, Richard Wright (autore di The Great Gig In The Sky insieme a Clare Torry), Nick Mason, e persino di Hipgnosis, che ha fatto le loro copertine più belle.

Quello di Waters e soci non è stato certo un gruppo stazionario. Tanto che capita anche a qualche fan dichiarato, di non avere una cognizione precisa del percorso della band almeno dal 1968 al 1995.

Prendiamo la top 5 della classifica in questione. Al quinto posto c’è “Bike” di Syd Barrett, clamoroso capriccio british da The Piper at the Gates of Dawn del 1967. Al primo posto la limpida e istituzionale “Wish You Were Here“, dall’omonimo album del 1975. Come si è passati, in quegli otto anni, da “I know a mouse, and he hasn’t got a house / I don’t know why I call him Gerald / he’s getting rather old, but he’s a good mouse” a “So, so you think you can tell / Heaven from hell / blue skies from pain”?



Tutte le trasformazioni dei Pink Floyd
La stessa domanda di fronte al divario suggerito dal confronto fra la prima—”Wish You Were Here”, appunto—e quella che il giornalista ritiene essere la più brutta canzone dei Pink Floyd. Uno strumentale da A Momentary Lapse of Reason (1987), Round and Around, che in effetti sembra preso dalla colonna sonora di un action dell’epoca stile Die Hard. Di nuovo: che diavolo è successo in quei dodici anni? Pensare che nel 1969 i Pink Floyd dividevano il palco con Frank Zappa.



Il fatto è che “ci sono almeno quattro, perfino cinque Pink Floyd differenti”, scrive Bill Wyman.
I primi sono stati una band pop-rock dell’assurdo. Guidata da Syd Barrett, il cui contributo si limiterà a due singoli e un album.
I secondi Pink Floyd erano nati prima che Barrett si unisse al gruppo, e fiorirono solo dopo il suo abbandono.
I terzi Pink Floyd sono quelli che conosciamo e amiamo. Che hanno creato “Meddle”, “The Dark Side of the Moon”, e “Wish You Were Here”.
Si potrebbe dire che questa fase evolse presto in una quarta, completamente diversa. Che vide Waters prendere il controllo. E produrre quasi degli album “solisti”, da “Animals”, attraverso “The Wall”, fino a “The Final Cut”. Per poi proseguire da solo.
La fase cinque dei Pink Floyd è la band che ha continuato senza Waters. E non sarebbe che una grossa beffa, non fosse per le vendite discografiche (ampie) e il successo dei tour (anche più ampio).



1967 – 2014: la playlist con tutti gli album dei Pink Floyd in ordine cronologico
L’ascolto ideale da affiancare alla classifica di cui abbiamo parlato, ordinata dal gusto di un singolo, è una eccezionale playlist Spotify. È compilata da Openculture. Ed è oggettiva. Contiene tutti gli album dei Pink Floyd, in ordine cronologico. Sia quelli in studio che i live. Dura 17 ore. Contiene 209 canzoni. E copre un arco di tempo incredibile. Dal 1967 al 2014. Il viaggio inizia con “Astronomy Domine” e termina (un po’ mestamente) con l’ultima traccia di The Endless River.



Non manca l’incursione ufficiale nel panorama delle colonne sonore (per i film del regista Barbet Schroeder), con il terzo e il settimo album in studio, “More” e “Obscured by Clouds”. L’incursione non ufficiale, quella per Zabriskie point di Michelangelo Antonioni, manca nella playlist.

C’è un’altra ragione per esplorare una playlist così comprensiva. Riscoprire i Pink Floyd più faceti, anche senza Syd. In Meddle, ad esempio, un disco apparentemente più serio che mai—c’è “Echoes”—trovi due splendide canzoncine ben note agli appassionati. “Seamus”, blues dedicato a un cane che si sente guaire per tutto il pezzo. E la pigra “Saint Tropez”, che a moltissimi ascoltatori italiani sembrò contenere, nell’ultima strofa, un verso che fa “making a date for Rita Pavone”. Ci credette anche Rita Pavone.



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