I brani più belli di Tom Waits scelti da Tom Waits

Quando ci si trova davanti un genio non si sa bene da dove cominciare. Le volte in cui davanti si trova un gigante della musica proviamo l’imbarazzo della scelta. Prendi ad esempio Tom Waits. Un musicista (anche attore, vedi Daunbailò) che ha pubblicato 25 album.

Mettiamo che vogliamo consigliare alcune tracce a chi ancora non lo conosce. Oppure facciamo che siamo noi quelli che non lo conoscono bene e vogliono avvicinarsi. In punta di piedi. Per capirci non da questa playlist completa dove ci sono tutte le canzoni di Tom Waits. E che dura 24 ore.

Da dove cominciare allora?

Chi meglio di Tom Waits in persona può guidarci? In una playlist realizzata per Spotify, Tom ha raccolto 76 canzoni dal suo sterminato repertorio. Non sono né in ordine alfabetico, né in quello cronologico. È un elenco dettato unicamente dal sentimento. Se l’ascolti tutto di seguito dura circa 4 ore e mezza. Noi la troviamo un’idea bellissima e speriamo che qualche altro musicista si presti a questo “gioco”. Per facilitare l’ascolto (soprattutto per i novizi) abbiamo voluto dividere in ore. Inutile aggiungere che questa playlist è un tesoro anche per i fan di vecchia data.

La prima ora: “Di cosa parliamo quando parliamo di Tom Waits”
La playlist comincia con l’album, forse, più significativo di Tom Waits: Rain Dogs. Uno dei più amati dai fan. La traccia è “Clap Hands”. Un capolavoro che racchiude l’essenza del musicista americano. Si passa poi a un altro album necessario, Mule Variations, “Come On Up To The House”. L’andamento iniziale è calmo. Dopo “Cemetery Polka“, i primi brani strappalacrime: “I Wish I Was in New Orleans (In the Ninth Ward)“. “House Where Nobody Lives”. “Ol’55”.



Ci si risveglia poi con “Goin’Out West” di Bone Machine e la mefistofelica “God’s Away on Business” contenuta in Blood Money. Di nuovo i brani più dolci. Quella doppia natura che rende unico Tom. “A Sight For Sore Eyes“, “Take Care Of All My Children“, “Cold Cold Ground” e la straordinaria “Pony”. Arrivano poi “Bad As Me“, “Jesus Gonna Be Here“, “All The World is Green“, “Army Ants” per poi tirare il fiato con “Lost in The Harbour“.



La seconda ora: “Le due facce di Tom Waits”
Si comincia l’ora successiva di ascolto con un brano tratto da quel gioiello che è Franks Wild Years. “Temptation”. E poi “Day After Tomorrow“: esiste qualche altro musicista in grado di farci piangere così? Per poi trasportarci in atmosfere à la David Lynch. Scandite da “Talking At The Same Time”. Ma Tom Waits è anche il musicista confidenziale da jazz club fumosi: “Eggs And Sausage” ne è l’esempio perfetto.



“Take It With Me” ci ricorda tantissimo un brano del suo discepolo Vinicio Capossela. “The Briar and the Rose”, “Heartattack And Vine”, “The Good Old World (Waltz)”, prima di arrivare al capolavoro postmoderno Swordfishtrombones. Con la traccia “Johnsburg, Illinois“. I toni, tornati soffusi, vengono scaldati da “On The Nickel”, prima della vertiginosa “Chicago”. “Shore Leave”, “New Coat of Paint”, “Fish and Bird”, “Hang on St. Christopher” d’un fiato. Per chiudere magnificamente con “Home I’ll Never Be”.



La terza ora: “La voce di Tom Waits”
La terza ora si apre giustamente con “Invitation To The Blues“. Un piano che non si ferma neanche in “A Little Rain”. La voce si fa più lamentosa in “Trampled Rose”. Siamo nel mezzo della playlist, si sprofonda. “Lucky day” e poi una traccia dalla colonna sonora di Un sogno lungo un giorno di Francis Ford Coppola. La chitarra di Marc Ribot ci trascina in “Walk Away”.



La recitata “What’s He Building?”, la jazz “Step Right Up”. La potente “Make It Rain” da Real Gone. Uno degli album più ripresi da Tom. La chitarra di Ribot torna in “Jockey Full Of Bourbon”. La tensione sale presto con “Raised Right Man” per poi arrestarsi con “Blue Valentines” e la calmissima e indimenticabile “Picture in a Frame”, di Mule Variations. L’ora di ascolto si chiude con “16 Shells For a 30.6“, “Get Behind the Mule” e “(Looking for) The Heart of Saturday Night” quando Tom aveva fumato qualche sigaretta in meno.



La quarta ora: “Tra sogni e incubi”
La quarta ora comincia di nuovo con un blues: “Mr Siegal“. L’onirica “Alice” e la struggente “Tom Traubert’s Blues (Four Sheets To The Wind In Copenhagen)“. Arrivano i brani cupi, acidi. Quelli col vocione. “The Part You Throw Away”, “What Keeps Mankind Alive”, “Hoist That Rag”. “Misery Is the River of the World”. Non poteva certo mancare “I Don’t Wanna Grow Up”, brano omaggiato anche dai Ramones. E ovviamente “Time” da Rain Dogs. O, ancora da Mule Variations, “Chocolate Jesus”.



Si torna per un momento seduti al night con “Christmas Card From a Hooker in Minneapolis”. C’è poi un brano meraviglioso e poco conosciuto. Un pezzo in cui la voce di Tom cede il passo al violino. “Fawn” di Alice. Un momento di pace suprema. Peccato duri così poco. Si rimane nel sogno con “Innocent When You Dream” e “Green Grass”. L’incantevole “Ruby’s Arms” anticipa “Way Down in the Hole”: una canzone che tutti i fan della serie Wire conoscono bene.



L’ultima mezz’ora di ascolto: “Il lungo addio”

L’ultimo spicchio di playlist si apre con la marcetta “In The Neighbourhood”. La preghiera gospel “Lord I’ve Been Changed”, che sembra un omaggio ad Alan Lomax. “Strange Weather” e “Nobody” preannunciano la fine. Prima di chiudere con altri balli, “Hell Broke Luce”, “Kommienezuspadt”, “Table Top Joe” e “Get Lost”. Per poi incamminarci verso il “Lowside of the road” e chiudere con “November”. È tempo di lasciarci, di scendere e ringraziare il nostro compagno di viaggio.


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