Phosphorescent – C’est La Vie (2018)

di Giulia Rossi

«Sono stato ubriaco per dieci anni / pensando che così tutto si sarebbe sistemato / ma queste pietre sono pesanti»: il settimo disco di Matthew Houck, in arte Phosphorescent, nasce da qui, da questi versi di These Rocks, settima traccia di C’est la Vie che arriva a distanza di cinque anni da Muchacho, il disco che lo ha consacrato come un degno erede dei maestri ai quali viene abitualmente associato (Will Oldham, Willie Nelson e Paul Simon). Sul talento di Phosphorescent nessuno ha mai nutrito dubbi, anche ai tempi in cui vendeva soltanto 15.000 copie. I dubbi erano semmai su come avrebbe fatto Matthew Houck, con quel timbro vocale così adatto al folk e al country, e quel buon gusto negli arrangiamenti, a distinguersi da tutto il resto, a sfuggire alla banalità, a darsi una identità precisa. L’impressione è che, a un certo punto, lui per primo se ne sia fregato e che gli sia venuto del tutto naturale scrivere queste nuove canzoni, senza stare per forza dentro certi schemi di genere e senza perdere il filo di uno stile maturato negli anni.

Avrebbe potuto scegliere la via delle contaminazioni, sgrossando il folk rock d’annata dall’elemento orchestrale tipico del genere, che in alcuni vecchi pezzi Houck aveva pompato fino a ricordare a tratti la E-Street band; avrebbe potuto rimodulare quel “feeling blue” che rischia di portare lentamente alla noia, come in certe discese alla Iron and Wine; avrebbe potuto chiudersi nel suo studio casalingo, lo Spirit Sounds Studio, a Nashville, e provare a fare un disco più personale. E così ha fatto. Forse C’est la Vie è un disco meno compatto del precedente, ma il motivo è evidente: l’attenzione si è spostata dalla tecnica al contenuto della storia. È un album molto eterogeneo, che può risultare spiazzante per chi si aspetta il classico canzoniere folk. L’esigenza di tradurre in musica quello che resta dopo un grande dolore ha guidato sia la scrittura dei testi, sia la costruzione delle atmosfere, piene di cori, di echi e riverberi (tantissimo nel brano C’est la Vie no.2), di emozioni ben individuate e amplificate. Diventa padre e scrive la tenera ballata My beautiful boy, si sente meglio e scrive il singolo rock dreamy New Born in England.

Non è sbagliato definirlo un concept album: registrato nel momento giusto, dopo aver attraversato un brutto periodo, perché così è la vita. Penso al Sufjan Stevens di Carrie & Lowell o al Micah P. Hinson di The Holy Strangers, o al Mount Eerie di A Crow Looked at Me: solo per fare degli esempi, e non dei paragoni, di dischi che all’interno del percorso di un artista vivono un po’ di vita propria, e non è detto che siano i più belli. Sono il frutto di momenti di ispirazione particolare, come è evidente anche nel caso di questo ultimo lavoro di Phosphorescent.




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