Alejandro Escovedo – The Crossing (2018)

di Gianfranco Marmoro

Figlio di immigrati messicani di stanza nel Texas, Alejandro Escovedo è una figura leggendaria della musica americana: protagonista della prima ondata punk americana con i Nuns, poi artefice negli anni 80 di due formazioni seminali dell’alternative rock americano (Rank & File, True Believers), infine solista e occasionale collaboratore di Ryan Adams. La sua è una famiglia di musicisti, con quattro fratelli coinvolti in altre band: Mario nella rock band The Dragons, Javier con i punk rocker The Zeros, e i più famosi Coke e Pete Escovedo, percussionisti prima con Santana e poi negli Azteca, non dimenticando la presenza in famiglia della nipote Sheila E.

“The Crossing” è l’ennesima conferma del talento e della sensibilità sociale di Alejandro, alle prese con un imponente concept-album che racconta l’odissea di due giovani emigrati nell’America di oggi.
Per raccontare la storia di Diego e Salvo, il musicista americano si è avvalso della band italiana Don Antonio, coinvolgendo il leader Antonio Gramentiere anche nella scrittura delle canzoni. Il risultato è oltremodo interessante, mai intorpidito dalle dinamiche della storia, che lascia meno spazio a certe asperità rock del passato, in favore di un suono legato maggiormente alle radici, a volte non dissimile da alcune cose dei Richmond Fontaine o dei Los Lobos (si ascolti in particolare lo strumentale “Amor Puro”).

“The Crossing” è per Escovedo l’album della resa dei conti con il passato: il rammarico per le promesse politiche tradite, la scomparsa delle ultime icone della ribellione punk (Stooges su tutti), sentimenti che aprono le porte a un più intenso romanticismo e a una sensualità inaspettata, merito, o colpa, anche della scelta di registrare l’album in Emilia Romagna, ben lontani dal Texas o da New York.
Attraversare un confine in verità vuol dire perdere la propria casa, la propria innocenza, ovvero scontrarsi con la brutalità della solitudine e dell’indifferenza; per raccontare tutto questo il musicista ha concentrato l’attenzione su un suono che arrivasse all’ascoltatore in maniera diretta, familiare, coinvolgendo tutti i cinque sensi attraverso la fisicità e l’intelletto.

E’ un affresco sonoro e tematico molto suggestivo, quello di “The Crossing”: le sonorità più tipicamente roots scaturiscono da un’intensa intesa con la band Don Antonio, che asseconda lo spirito più rurale della musica di Escovedo, nonché quella malinconia che attraversa tutto l’album, frutto di una riflessione profonda sul mutamento di una generazioni di artisti rivoluzionari trasformati in imprenditori, e ormai succubi della moderna autocrazia dei media.
Al di là delle premesse, “The Crossing” è un disco che si regge benissimo anche senza aver consapevolezza delle motivazioni di fondo, musicalmente ispirato e vario, graziato anche dalla presenza di ospiti d’eccezione come Joe Ely (“Silver City”, un suo vecchio brano riproposto da Escovedo), Peter Perrett (“Waiting For Me”) e Wayne Kramer (“Sonica USA”).

Per chi fosse nostalgico delle pagine più vigorose e viscerali del musicista americano, c’è abbastanza carne al fuoco: un robusto rock alla Lou Reed meets Bruce Springsteen (“Teenage Luggage”), il garage-rock lievemente psichedelico di “Outlaw For You” (con citazioni di Kerouac e Cortez), un irriverente e incalzante punk-rock (“Sonica USA”) e un’aspra e quasi waitsiana ballata dagli umori malsani (“MC Overload”).
Uniche concessioni alla logica del concept-album sono l’introduzione orchestrale di “Andare”, il tono narrativo di “Rio Navidad” (scritta da Willy Valutin e con la voce recitante di Freddie Trujillo) e il languido finale della title track, per il resto l’album scorre con sonorità fluide e appassionate.
Tra toni più oscuri (“Footsteps In The Shadows”) e ballate dal fascino cinematico (“Cherry Blossom Rain”, “Texas Is My Mother”, “Silver City”), c’è spazio per alcune concessioni a un country-rock più formale (“Waiting For Me”, “Fury & Fire”, “Something Blue”, “How Many Times”), che nonostante tutto non smorzano la tensione, anzi rinvigoriscono un album che più che fuoco e fiamme, offre calore e accoglienza, perché l’arte può ancora svolgere una funzione sociale, parola di Alejandro Escovedo.

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