Joe Bonamassa – Redemption (2018)

di Sergio Mancuso

Dicono che la via per arrivare in cima sia lunga, se si vuole fare rock & roll. Joe Bonamassa però di strada ne ha già fatta tanta e sono almeno due anni abbondanti che non sbaglia un colpo, consolidando ampiamente il suo posto nell'Olimpo della musica.

"Redemption" raccoglie l'eredità di Blues of Desperation riprendendone sonorità quali la batteria cavernosa e profonda e la voglia di giocare ecletticamente con la chitarra e gli arrangiamenti. Sulle solide basi della musica del Mississipi, del quale il nostro è maestro, il buon Joe erige pareti di suoni e sonorità contingenti creando un album composito, elegante e per nulla scontato.

S'iniza ad alto impatto con "Evil Mama" che nell'intro ricorda "Rock And Roll" dei Led Zeppelin con una batteria di alto spessore e una chitarra che si scatena fin da subito. Senza lasciare nemmeno un secondo all'ascoltatore per ambientarsi, Bonamassa lo assale, travolge e trasporta in un mondo fatto di pura estasi rock. Un omaggio coraggioso ma originale agli Zeppelin che i Greta Van Fleet dovrebbero ascoltare con attenzione. La seconda canzone è uno shuffle, un blues e un trattato di come si suona la chitarra slide. "King Bee Shakedown" rimarrà a lungo nella memoria degli ascoltatori di questo album."Molly O'" invece inzia con il suono della risacca, di un mare gentile che si trasforma in tempesta non appena Joe passa a far cantare la sua voce e soprattutto la sua sei corde.

Un trio di canzoni, quelle iniziali, da far invidia ai migliori album. Colpiscono, sono ben scelte e rendono perfettamente l'idea identitaria che Bonamassa e il suo produttore di fiducia, Kevin Shirley vogliono dare. C'è anche altro a rendere questo CD speciale: contribuiscono in maniera decisiva infatti anche "Pick Up The Pieces" e "Just 'Cos You Can Don't Mean You Should": un fumoso jazz, il primo, in cui sono i fiati, per una volta, a farla da padroni, e che ricorda da vicino le hit di Cab Calloway, un dodici battute d'annata il secondo, con la chitarra che rifulge di luce propria assurgendo non a mero strumento ma a voce e protagonista dell'intera traccia.

Tutti brani meriterebbero una trattazione a parte e approfondita ma la title track spicca tra le molte con una chitarra dal suono grezzo e rispettosa della tradizione più vera e pura, con cori che ricordano nelle sonorità "Blues of Desperation" dello stesso Joe fino ad un intermezzo di stallo dopo il quale parte una intro che ricorda "Kashmir" e poi una chitarra folle che colpisce come il martello di Odino, spettacolare come gli sprizzi di fiamma che sprigiona il metallo di questa portentosa arma che è divenuta la sei corde mentre viene affilata. Dopo un assalto così ci vuole un po' di riposo e possiamo trovarlo in "Stronger Now In a Broken Places", una ballata struggente con la chitarra acustica. La performace più pop dell'album che pure non stona in mezzo a tutte le perle.

Il nostro Guitar Hero è principalmente un chitarrista blues, esso permea ogni singola traccia di "Redemption", non dobbiamo dimenticarlo e lui non vuole assolutamente che lo facciamo. Proprio per questo ci regala una performance d'addio spettacolare con "Love Is a Gamble" che chiude i giochi e ci lascia con una malinconica voglia di far ripartire l'album.

In sintesi "Redemption" è da avere e custodire. Il tredicesimo album in studio, senza contare i lavori con la Hart e i side project, è un numero che porta all'artista creatività e fortuna. Dopo il lavoro precedente, dove avevamo potuto notare un salto di qualità vocale in Joe, questo è l'album della consacrazione a quel livello perché i live non contano... tanto tutti gli appassionati lo sanno già che il Nostro tira fuori il meglio di sé sul palco. E il meglio di Bonamassa è qualcosa che ben pochi possono imitare!


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